Tinebra e l’agenda rossa: a Catania si riaccendono i riflettori su anni di silenzi e faldoni mai aperti

Tinebra e l’agenda rossa: a Catania si riaccendono i riflettori su anni di silenzi e faldoni mai aperti

Catania – L’inchiesta della Procura di Caltanissetta che punta nuovamente i riflettori sull’ex procuratore Giovanni Tinebra, stavolta per il possibile coinvolgimento nella sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, sta sollevando forti interrogativi anche a Catania, dove Tinebra ha ricoperto, fino al pensionamento, il delicato incarico di Procuratore generale presso la Corte d’Appello.

Le perquisizioni nelle sue abitazioni, eseguite nei giorni scorsi dai Carabinieri del Ros, nascono da un documento ufficiale recentemente acquisito, firmato nel 1992 da Arnaldo La Barbera, in cui si afferma che una borsa e un’agenda appartenenti a Borsellino sarebbero state consegnate proprio al dottor Tinebra all’indomani della strage di via D’Amelio. Una circostanza mai emersa prima e priva di riscontri documentali, che oggi pone più di un interrogativo.

Le domande dei cittadini

Alla luce di questi sviluppi, cresce la preoccupazione tra i cittadini catanesi, molti dei quali si chiedono oggi, con crescente insistenza: “Se Tinebra è sospettato di un possibile coinvolgimento in uno degli episodi più oscuri della storia giudiziaria italiana, come ha svolto il suo ruolo apicale a Catania?”

Una domanda legittima, soprattutto considerando che, secondo voci di popolo e testimonianze informali raccolte negli anni all’interno del mondo giudiziario e forense etneo, durante il periodo in cui Tinebra ha diretto la Procura generale diversi fascicoli sarebbero rimasti a lungo ‘dormienti’, chiusi nei cassetti o rimandati sine die, senza apparente giustificazione.

Va chiarito che non esistono al momento provvedimenti formali che mettano in discussione l’operato di Tinebra a Catania, ma proprio per questo molti cittadini e addetti ai lavori chiedono che si faccia luce in maniera chiara e trasparente anche su quella fase della sua carriera.

Voci di corridoio e richieste di trasparenza

In ambienti interni al Palazzo di Giustizia – secondo voci di corridoio che da anni circolano con insistenzaci sarebbe stata una gestione quanto meno “prudente” di pratiche delicate, che riguardavano anche settori sensibili come la criminalità organizzata, l’imprenditoria collusa e alcuni intrecci tra politica e affari.

“È ora di verificare se ci siano stati rallentamenti, omissioni o scelte discutibili anche negli anni catanesi – afferma un avvocato del Foro etneo che preferisce restare anonimo –. Nessuno vuole processi sommari, ma dopo tutto quello che sta emergendo, serve un supplemento di verità”.

Un’ombra lunga

Il nome di Giovanni Tinebra era già noto per aver guidato le prime indagini sulla strage di via D’Amelio, inchieste oggi pesantemente rivalutate alla luce dei processi per depistaggio, che hanno portato a dure sentenze e gravi censure anche da parte della Cassazione. A ciò si aggiungono le recenti rivelazioni sulla sua presunta appartenenza a una loggia massonica coperta, attiva a Nicosia, città dove prestò servizio per oltre vent’anni.

Tutti elementi che, messi insieme, gettano un’ombra lunga anche sull’ultima parte della sua carriera, vissuta proprio tra le aule giudiziarie di Catania, dove oggi molti si interrogano: è possibile che certe anomalie operative di quegli anni siano state solo il frutto della burocrazia, o c’è stato anche altro?

Appello alle istituzioni

Alla luce di quanto sta emergendo, non pochi osservatori e cittadini chiedono l’avvio di un’indagine interna o un’istruttoria conoscitiva sui fascicoli trattati – o non trattati – durante il periodo in cui Tinebra guidò la Procura generale etnea. Un’iniziativa che potrebbe ristabilire fiducia nelle istituzioni e garantire trasparenza, senza scadere in facili processi mediatici.

Perché, come insegnano le vicende legate alla strage di via D’Amelio, la verità troppo spesso arriva tardi – e a caro prezzo.

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