Monegato, L’art. 80, comma 10-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 come strumento di tutela dell’ordine pubblico economico

Home Rubriche Il Diritto a portata di mano Monegato, L’art. 80, comma 10-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 come strumento di tutela dell’ordine pubblico economico

Consiglio di Stato, sez. V, 16/12/2021, n. 8406

Dalle disposizioni del codice dei contratti pubblici e, segnatamente, dai vari commi dell’art. 80 si ricava il principio generale per il quale ogni provvedimento di esclusione si genera e si consuma all’interno della procedura di gara per il quale è stato adottato dalla stazione appaltante (fermo le ipotesi speciali previste a determinate condizioni dal legislatore), salvi gli obblighi dichiarativi in capo a ciascun operatore economico che dovrà informare la stazione appaltante delle precedenti esclusioni; in coerenza logica, la disposizione del comma 10 – bis si pone quale norma di chiusura di questo microsistema poiché delimita il periodo di rilevanza ai fini espulsivi di una pregressa vicenda professionale della quale sia stata informata la stazione appaltante (e correlativo il periodo al quale gli obblighi dichiarativo debbono aver riferimento).

Con la sentenza n. 8406 del 16/12/2021, il Consiglio di Stato si è pronunciato su una questione di estremo interesse e attualità, attinente alla tematica dell’esclusione dalle procedure di gara.

La pronuncia trae origine dal ricorso proposto da una società, innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – sezione staccata di Lecce, contro il provvedimento adottato dal Ministero della Difesa – Marina Militare, che disponeva la sua esclusione da una procedura di gara indetta per l’affidamento di servizi di ammodernamento di navi militari.

L’Amministrazione escludeva la società dalla procedura di gara per grave illecito professionale, ai sensi dell’art. 80, comma 5, D.Lgs. n. 50/2016 e per aver riscontrato l’esistenza di un unico centro decisionale con le altre imprese concorrenti, integrando la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. m), D.lgs. n. 50 del 2016.

Nel provvedimento di esclusione il Ministero precisava che l’accertamento delle predette violazioni comportava l’esclusione dalle procedure di gara per tre anni, a decorrere dalla data di adozione del provvedimento ovvero, qualora lo stesso fosse stato contestato in giudizio, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza.

La norma applicata dal Ministero era l’articolo 80, comma 10-bis, D. Lgs. n. 50/2016 il quale prevede che, al di fuori delle ipotesi in cui l’operatore economico sia stato condannato con sentenza penale di condanna definitiva, “Nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione e’ pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso”.

Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. Lecce, la società contestava la legittimità del provvedimento di esclusione e sosteneva che la stazione appaltante, disponendo la sua esclusione dalle procedure di gara per un triennio, avesse esercitato un potere che non era previsto dall’art. 80, comma 10 – bis, d.lgs. n. 50 del 2016.

Il Tribunale riconosceva la fondatezza della tesi prospettata dalla ricorrente, perché la previsione, contenuta nell’atto impugnato, di divieto di partecipazione alle gare per un triennio, senza ulteriori precisazioni, si prestava ad essere interpretata nel senso che il divieto di partecipazione alle gare fosse esteso anche alle procedure bandite da amministrazioni diverse da quella autrice dell’atto impugnato.

Questa interpretazione era ritenuta dal giudice di primo grado lesiva del principio di proporzionalità, oltre che violativa delle prerogative proprie delle altre amministrazioni, le quali non potevano ritenersi vincolate alle valutazioni espresse dall’Amministrazione resistente, ma dovevano rimanere libere di valutare la portata del precedente in esame, rispetto alle gare da esse bandite.

Il T.A.R. Lecce concludeva, quindi, per un’interpretazione restrittiva del divieto di partecipazione alle gare per un triennio, non esteso alle future gare bandite da altre amministrazioni,ma riteneva legittimo il divieto di partecipazione alle gare indette dalla stessa stazione appaltante che aveva disposto l’esclusione, compatibilmente con quanto disposto dall’articolo 80, comma 10-bis del d.lgs. n. 50 del 2016.

Ciononostante, la società ricorrente proponeva appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del T.A.R. Lecce, sulla base di un unico motivo di ricorso con cui sosteneva l’errata comprensione del motivo di gravame dedotto in primo grado.

Essa non si era limitata a contestare l’illegittimità della sanzione dell’esclusione triennale in relazione solo alle gare indette da altre amministrazioni, ma anche per le gare bandite dalla medesima stazione appaltante.

Secondo la società appellante non poteva consentirsi che l’Amministrazione disponesse una automatica esclusione triennale dalle procedure di gara, quale che fosse la stazione appaltante, anche se si trattava della medesima stazione deliberante, perché tale potere non è previsto dall’art. 80, comma 10-bis d.lgs. n. 50 del 2016, il quale, se così inteso, si porrebbe in contrasto con principi eurounitari e costituzionali.

La società appellante sosteneva inoltre che l’interpretazione della disposizione normativa fornita dal giudice di primo grado risultasse contrastante con l’interpretazione accolta dalla giurisprudenza amministrativa (in particolare, con il precedente Cons. di Stato, Sezione V, 29/10/2020, n. 6635), secondo la quale l’articolo 80, comma 10-bis costituisce disposizione volta a circoscrivere temporalmente la rilevanza ai fini dichiarativi, e quindi valutativi per le stazioni appaltanti, delle pregresse vicende professionali degli operatori economici.

Nel caso oggetto di giudizio dinanzi al Consiglio di Stato, alla prospettazione della società appellante si opponeva la tesi sostenuta dal Ministero della Difesa, che si costituiva in giudizio e proponeva a sua volta appello incidentale.

Il Ministero della Difesa sosteneva che il legislatore, con la disposizione di cui all’articolo 80, comma 10-bis del d.lgs. 50/2016,  avrebbe previsto un’ipotesi di temporanea incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione derivante in maniera automatica dal provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante, destinato ad avere un’efficacia erga omnes e, dunque, ad operare nei confronti di qualsiasi stazione appaltante.

La tesi del Ministero della Difesa si basava anzitutto sul dato letterale dell’articolo 80, comma 10-bis, e sulla simmetria esistente con il comma 10 dell’articolo 80; in entrambe le ipotesi è disciplinata “la durata della esclusione dalla procedura di appalto o concessione”. Se nel caso del comma 10 dell’articolo non si dubita che la formula si riferisca alla durata dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione, non si comprende perché la stessa espressione dovrebbe avere un diverso significato per il comma 10-bis.

Il secondo argomento poggiava sull’interesse pubblico che il legislatore ha voluto tutelare con la disposizione in esame, consistente nell’impedire che sia stipulato un contratto di aggiudicazione con un’impresa non affidabile. In questa prospettiva era ritenuto irragionevole operare una distinzione tra preclusione a contrattare che valesse per le future procedure di gara indette dalla medesima stazione appaltante e quelle indette da altre amministrazioni.

A conferma dell’estensione soggettiva dell’esclusione anche alle amministrazioni diverse da quella che aveva deliberato l’esclusione, il Ministero della Difesa valorizzava l’ultimo periodo dell’articolo 80, comma 10-bis – ai sensi del quale “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso” – sostenendo che l’amministrazione chiamata a tenere conto dell’esclusione in pendenza del giudizio in cui è contestato il provvedimento di esclusione non potesse che essere diversa da quella che aveva adottato il provvedimento. L’amministrazione che aveva già disposto l’esclusioneavrebbe dovuto infatti necessariamente tenere conto del proprio precedente operato, a pena di irragionevolezza dei propri provvedimenti, ed a prescindere da una esplicita previsione legislativa.

Il Ministero concludeva che l’interpretazione accolta dalle precedenti pronunce contrastasse con il dato letterale e sistematico dell’articolo 80, comma 10-bis e potrebbe ammettersi solo ove derivasse da una pronuncia “correttiva” della Corte Costituzionale che avrebbe potuto chiarire la giusta interpretazione del testo, vincolando la libertà interpretativa dei giudici.

La sentenza del Consiglio di Stato, V, 16/12/2021, n. 8406: l’articolo 80, comma 10-bis, D. Lgs. n. 50/2016 e il problema dell’esclusione dalle procedure di gara

La questione giuridica al centro della pronuncia in commento concerne l’interpretazione dell’articolo 80, comma 10-bis, del codice dei contratti pubblici.

In base a questa disposizione normativa, “[…]Nei casi di cui al comma 5,  la  durata della esclusione e’  pari  a  tre  anni,  decorrenti  dalla  data  di adozione del provvedimento amministrativo di  esclusione  ovvero,  in caso di  contestazione  in  giudizio,  dalla  data  di  passaggio  in giudicato della sentenza”.

Il problema che si impone all’esame del Consiglio di Stato consiste nel comprendere se la stazione appaltante, in base all’articolo 80, comma 10-bis del codice dei contratti pubblici, abbia il potere di estendere l’esclusione di un operatore economico (disposta ai sensi dell’art. 80, comma 5) alla partecipazione a future procedure di gara indette da qualunque amministrazione aggiudicatrice, sia essa quella che ha indetto la gara o un’altra.

Sottesa a questa problematica ve ne è poi un’altra, di fondamentale importanza, perché ci si domanda se la disposizione di cui all’articolo 80, comma 10-bis del codice dei contratti pubblici preveda una vera e propria ipotesi di incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione, avente natura penale, o se, diversamente, essa costituisca piuttosto una sanzione amministrativa i cui effetti sono circoscritti ad una specifica procedura di gara.

Il Consiglio di Stato, nell’affrontare le problematiche evidenziate, richiama anzitutto il precedente della Sezione V, 29 ottobre 2020, n. 6635, con il quale era già stata fornita un’interpretazione dell’articolo 80, comma 10-bis del codice dei contratti pubblici.

In questa sentenza, che aveva ad oggetto un caso analogo a quello della pronuncia in esame, si sottolineava la ratio dell’introduzione del comma 10-bis dell’articolo 80 quale norma finalizzata a dare risposta all’esigenza di delimitare il periodo nel quale una pregressa vicenda professionale negativa possa comportare l’esclusione di un operatore economico da una procedura di gara. Era stato al riguardo precisato che “(…) laddove il legislatore utilizza l’espressione “durata dell’esclusione” e fa riferimento ai “casi di cui al comma 5”, è come se dicesse “la durata del periodo in cui è possibile disporre l’esclusione in base al medesimo fatto rilevante ai sensi del comma 5”, corrisponde al triennio (nei termini esposti anche Cons. Stato, sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937). La diversa tesi – che, come anticipato, porta ad assegnare al provvedimento di esclusione efficacia al di fuori della procedura cui si riferisce – non pare ragionevole poiché il provvedimento di esclusione, per sua stessa natura, si riferisce ad una singola e specifica procedura di gara e non può avere effetti oltre questa.

Con la decisione in commento, il giudice d’appello conferma le conclusioni cuiera pervenuto con la sentenza n. 6635 del 2020 ma, al fine di confutare la tesi sostenuta in giudizio dal Ministero della Difesa, le corrobora con nuove argomentazioni.

Il profilo più interessante della sentenza in esame, anche rispetto ad altri precedenti chedirettamente o indirettamente si erano occupati della medesima questione, è rappresentato dal fatto che il Consiglio di Stato sottolinea l’esigenza di fornire un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell’articolo 80, comma 10-bis, d.lgs. 50/2016.

L’assunto secondo cui l’art. 80 comma 10-bis prevedrebbe un’ipotesi di temporanea incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione è ritenuto in primo luogo contrastante con il principio di legalità delle sanzioni amministrative (discendente dall’art. 23 Cost. o, secondo altro orientamento, dall’art. 25, secondo comma, Cost.).

Secondo i giudici di Palazzo Spada, seguendo la prospettazione del Ministero della Difesa, il legislatore avrebbe introdotto una misura sanzionatoria dipendente da una determinazione discrezionale della pubblica amministrazione, mentre il principio di legalità esige che sia la fonte primaria a definire con sufficiente precisione e determinatezza le condizioni e i presupposti per sanzionare la condotta del privato trasgressore.

A questo proposito, nella sentenza si evidenzia come tra le cause di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 vi siano diverse condotte dell’operatore economico concorrente che devono essere discrezionalmente apprezzate dalla stazione appaltante per esprimere una valutazione di non idoneità a rendersi affidatario di una commessa. L’esclusione, in questi casi, è conseguenza di una valutazione ampiamente discrezionale della stazione appaltante, giustificata dal fatto che questa è chiamata a scegliere il proprio contraente. Ne consegue, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato, che “Se (…) dalla prima esclusione conseguisse in via automatica la preclusione per l’operatore escluso a prendere parte ad altre procedure di gara, la definizione del comportamento sanzionato sarebbe in fatto riconducibile direttamente alla valutazione discrezionale di un’amministrazione e solo mediatamente alla legge”.

In secondo luogo, in considerazione dell’ampio potere discrezionale riconosciuto alla stazione appaltante nella fase di esclusione di un operatore economico, la sentenza in esame attribuisce poi centrale rilievo al principio di proporzionalità, che costituisce il secondo ‘perno’, insieme al principio di legalità, attorno cui gravita la decisione in commento.

A questo riguardo, il Consiglio di Stato sottolinea come il protrarsi automatico per un triennio dell’esclusione da ogni procedura di gara si porrebbe in contraddizione con altre disposizioni del codice dei contratti pubblici che, a determinate condizioni, considerano possibile il superamento delle ragioni che hanno indotto la stazione appaltante ad escludere l’operatore economico da una procedura di evidenza pubblica, consentendogli di partecipare ad altre gare.

Vengono così in rilievo le misure  cd. di ‘self-cleaning’ (art. 80, commi 7 e 8, d.lgs. 50/2016), per tali intendendosi quei “provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti” (così definiti nell’ultimo periodo dell’art. 80, comma 7, d.lgs. n. 50 del 2016) che, ove ritenuti sufficienti dall’amministrazione aggiudicatrice, possono consentire all’operatore economico di evitare l’esclusione.

Il principio di proporzionalità è, inoltre, sotteso a quel consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui ogni provvedimento di esclusione si riferisce e si conclude all’interno della specifica procedura di gara in cui è maturato, senza poter protrarre i propri effetti ‘a strascico’, secondo un effetto cd. di “rimbalzo”, da una procedura all’altra(cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2021, n. 6212; V, 27 settembre 2019, n. 6490;  Cons. Stato, sez. V. 17 marzo 2020, n. 1906).

Infine, possono considerarsi ascrivibili sempre ad una logica di legalità e di proporzionalità anche le ulteriori argomentazioni utilizzate dal Consiglio di Stato al fine di fornire un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata dell’articolo 80, comma 10-bis, D. Lgs. 50/2016.

Con riferimento alle cause di esclusione previste dall’articolo 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici, si osserva come il legislatore abbia già definito quelle condotte che danno luogo ad una esclusione automatica prolungata nel tempo da ogni procedura di gara, “così mostrando il chiaro intento di specificare i casi che per il loro disvalore possono giustificare il propagarsi degli effetti espulsivi in via automatica”.

Nella pronuncia in commento vengono così richiamati, in particolare, i casi per i quali è prevista l’iscrizione nel casellario informatico tenuto dall’A.n.a.c. (art. 213, comma 10, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50): si tratta delle fattispecie disciplinate dall’articolo 80, comma 5, lett. f-ter) e g), il quale prevede che l’operatore economico che abbia presentato false dichiarazioni o falsa documentazioni in gara – a condizione che l’A.n.a.c. ravvisi che esse siano state rese con dolo o colpa grave (ai sensi del comma 12 dell’articolo 80) – possa essere escluso da ogni procedura di gara per il tempo in cui perdura l’iscrizione nel casellario giudiziario. Il Consiglio di Stato ha ritenuto incongruente che il legislatore, da un lato abbia previsto in dettaglio quelle vicende, tra le varie previste dal comma 5 dell’articolo 80, del codice dei contratti pubblici, da cui consegue una prolungata esclusione da ogni procedura di gara e, dall’altro lato, abbia introdotto al comma 10-bis dell’articolo 80 una generalizzata estensione temporale dei provvedimenti di esclusione, “valevole, cioè, quale che sia stata la causa di esclusione tra quelle previste dal comma 5 dell’art. 80 e per ogni altra procedura di gara”.

A completamento del quadro normativo e giurisprudenziale tracciato, nella sentenza viene messa in rilievo l’esistenza di un preciso obbligo dichiarativo a carico dell’operatore economico, che è comunque tenuto a dichiarare in altre procedure il provvedimento espulsivo subito, con conseguente onere della stazione appaltante di rivalutare nuovamente l’episodio causa di esclusione e decidere autonomamente se ammettere il concorrente o (ri)affermare la rilevanza espulsiva della condotta. In ogni caso, resta ferma l’impossibilità di disporre alcun effetto espulsivo automatico dalla nuova procedura di gara cui l’operatore abbia richiesto di partecipare (da Cons. Stato, sez. V, 20 settembre 2021, n. 6407; V, 8 aprile 2021, n. 2838)

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato giunge ad affermare il principio generale secondo cui “ogni provvedimento di esclusione si genera e si consuma all’interno della procedura di gara per il quale è stato adottato dalla stazione appaltante (fermo le ipotesi speciali previste a determinate condizioni dal legislatore di cui si è detto), salvi gli obblighi dichiarativi in capo a ciascun operatore economico che dovrà informare la stazione appaltante delle precedenti esclusioni; in coerenza logica, la disposizione del comma 10 – bis si pone quale norma di chiusura di questo micro sistema poiché delimita il periodo di rilevanza ai fini espulsivi di una pregressa vicenda professionale della quale sia stata informata la stazione appaltante (e correlativo il periodo al quale gli obblighi dichiarativo debbono aver riferimento)”.

Profili costituzionali ed eurounitari della decisione.

Articolando un parallelo con la materia penale, e sulla base delle considerazioni espresse dal Consiglio di Stato, sembra possibile affermare che il principio di legalità impone che le limitazioni alle libertà fondamentali delle imprese, prime fra le quali la libertà di concorrenza e di libera iniziativa economica,debbano essere previste da una fonte primaria, che ne assicuri un sufficiente grado di precisione e determinatezza. In questo senso, l’articolo 80, comma 10-bis, d. lgs. n. 50/2016 non è stato ritenuto rispondente a questi fondamentali requisiti.

Escludere un’impresa dalle future procedure di gara indette dalla medesima stazione appaltante può costituire, in effetti, una sanzione che incide pesantemente sulla sua libertà di iniziativa economica, perché l’impresa, operando in un determinato mercato, può non avere alcun interesse o possibilità di partecipare alle gare bandite da altre amministrazioni (come per esempio nelle ipotesi in cui il mercato costituisce una forma di ‘monopsonio’).

L’amministrazione avrebbe così il potere di escludere un’impresa dal mercato, impendendole di operare per un determinato periodo di tempo. Per questa ragioneè costantemente ribadita l’esigenza che la durata dell’esclusione sia predeterminata per legge, dovendosi necessariamente limitare il periodo di rilevanza a fini escludenti di una pregressa vicenda negativa professionale di un operatore economico.

Il principio di legalità risulterebbe violato qualora si riconoscesse un potere della pubblica amministrazione, analogo a quello del giudice penale, di disporre l’incapacità a contrattare per l’operatore economico ritenuto responsabile di un illecito, in assenza di una specifica disposizione normativa che lo consenta.

Al contrario, nell’ambito del procedimento amministrativo che conduce all’esclusione, la stazione appaltante gode di un potere ampiamente discrezionale, sia con riguardo alla determinazione dei presupposti per l’esclusione, sia con riferimento alla determinazione della durata dell’esclusione.

Come è stato osservato in dottrina, occorre prestare attenzione al fatto che l’esclusione prevista dalla direttiva europea non vuole essere una punizione o una forma di ‘castigo’ A questa conclusione si oppone il principio di proporzionalità che, come rilevato dal Consiglio di Stato, osta alla possibilità di configurare qualunque forma di automatismo nell’esclusione di un concorrente, perché si richiede che l’amministrazione valuti ed esamini essa stessa i fatti.

Il principio di proporzionalità è al centro della Direttiva 2014/24/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE ed assume particolare importanza all’interno disciplina in materia di esclusione di un operatore economico (articolo 57 della direttiva).

Al riguardo, è interessante notare come la questione degli effetti dell’esclusione di un operatore economico sulle future procedure di gara, oltre ad essere già emersa in alcuni precedenti del Consiglio di Stato, sia di grande rilievo anche nella più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Effettivamente, si è spesso posto il problema del se ed entro quali limiti un’amministrazione aggiudicatrice possa escludere dalla procedura di gara un operatore economico che già in una precedente procedura si era dimostrato inaffidabile (in quanto era intervenuta una risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico, per un illecito anticoncorrenziale etc.), quando sia intervenuta una decisione dell’autorità garante della concorrenza, in pendenza di un ricorso dinanzi ad un giudice nazionale o, in presenza di un’esclusione già disposta da un’altra amministrazione giudicatrice.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato, con le sentenze della Corte(Quarta Sezione), 19 giugno 2019, causa C‑41/18, Mecae conOrdinanzadellaCorte(Nona Sezione), 20 novembre 2019, C‑552/18, Indaco Service, che l’amministrazione aggiudicatrice non deve ritenersi automaticamente vincolata dalla valutazione effettuata da un giudice nazionale, né dalla decisione assunta dall’autorità garante della concorrenza nazionale (Ordinanza della Corte (Nona Sezione), 4 giugno 2019, causa C‑425/18, Consorzio Nazionale Servizi).

La Corte hainoltre evidenziato ( Sentenza (Quarta Sezione), 24 ottobre 2018, C‑124/17, VosslohLaeis) la peculiarità di approccio che deve connotare l’operato dell’amministrazione aggiudicatrice, anche in confronto alla valutazione effettuata dalle autorità investigative (in particolare, dall’autorità garante della concorrenza e del mercato): non si tratta, infatti, di compiere un accertamento ex post di eventuali responsabilità degli agenti nel commettere una violazione ad una norma di diritto, dovendo l’amministrazione effettuare una valutazione prognostica, ex ante, che consenta di valutare i rischi cui potrebbe essere esposta aggiudicando l’appalto ad un offerente la cui integrità sia dubbia.

Particolarmente rilevante è quanto affermato dalla Corte di Giustizia, con sentenza (Quarta Sezione), 3 ottobre 2019, causa C‑267/18, Delta Antrepriză de ConstrucţiişiMontaj 93, secondo cui, poiché il legislatore dell’Unione ha inteso conferire alla sola amministrazione aggiudicatrice il compito di valutare se un candidato debba essere escluso da una procedura di gara, l’amministrazione non può essere vincolata nemmeno dalla valutazione già operata da un’altra stazione appaltante.

Tutela dell’ordine pubblico economico e contrasto alla collusione negli appalti pubblici.

Se le conclusioni cui perviene il Consiglio di Stato con la sentenza in esame possono ritenersi apprezzabili nella misura in cui, in una prospettiva costituzionale ed euro-unitaria, valorizzano i principi di legalità e di proporzionalità, a tutela della libera concorrenza e della libertà di iniziativa economica, sembra altresì interessante considerare la sentenza in commento sotto una differente prospettiva in una logica di tutela dell’ordine pubblico economico.

Il concetto di ordine pubblico economico è di difficile definizione. Secondo quanto affermato da autorevole dottrina, esso costituisce una specifica declinazione del concetto di ordine pubblico, traslato in ambito economico.

L’ordine pubblico economico è anzitutto legato al funzionamento concorrenziale del mercato, come dimostra la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di intese e illeciti anticoncorrenziali: la concorrenza ne costituisce la prima, fondamentale componente, ma non la sola.

L’analisi della più recente giurisprudenza amministrativa nazionale, in effetti, dimostra come la tutela dell’ordine pubblico economico rappresenti un obiettivo sotteso a numerose discipline, talvolta anche apparentemente eterogenee fra di loro.

La salvaguardia dell’ordine pubblico economico costituisce, ad esempio, la ratio dell’istituto dell’interdittiva antimafia (TAR Catania, IV, 16/11/2020 n. 3035, Consiglio di Stato, V, 06/05/2019 n. 2896), venendo spesso in rilievo la questione dei limiti di ordine pubblico economico all’incapacità giuridica discendente dall’istituto (Consiglio di Stato, III,  07/04/2021 n. 2791, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 26/10/2020, n. 23).

Ancora, in tema di alienazione delle partecipazioni di società miste,si sottolinea come la regola dell’evidenza pubblica sia posta a presidio di principi generali di ordine pubblico economico, di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione fra potenziali concorrenti(Consiglio di Stato, V, 14/10/2020, n. 6222, TAR Venezia, I, 01/07/2020, n. 569, TAR Catania, I, 18/02/2020, n. 395).

Soprattutto, con specifico riguardo al tema oggetto della presente nota, è interessante notare come l’ordine pubblico economico costituisca un principio fondamentale richiamato nelle pronunce intervenute sul tema delle cause di esclusione dalle procedure di gara, in relazione all’esigenza che l’Amministrazione possa disporre di un soggetto contraente affidabile quanto al rispetto degli impegni richiesti e al soddisfacimento dell’interesse della controparte (TAR Firenze, II, 23/12/2020 n. 1713, Consiglio di Stato, V, 30/12/2019 n. 8908, Consiglio di Stato, V, 12/11/2019 n. 7749, Consiglio di Stato, V, 12/03/2019 n. 1649).

Sulla base di questi rilievi di ordine generale, appare opportuno considerare la sentenza del Consiglio di Stato in commento (intervenuta congiuntamente alle sentenze della Sezione V, 20.12.2021, n. 8461 e n. 8462), nel più ampio contesto in cui si colloca.

In questa prospettiva, analizzando la sentenza del T.A.R. Lecce oggetto di riforma, emerge che l’esclusione della società era stata disposta dalla stazione appaltante per grave illecito professionale e, nello specifico, in ragione di un illecito anticoncorrenziale accertato dall’A.G.C.M. con provvedimento divenuto definitivo a seguito di sentenza del Consiglio di Stato.

Nella sentenza, il Tribunale sottolineava la legittimità del provvedimento adottato dalla stazione appaltante, in quanto emanato all’esito di un’istruttoria autonoma, di cui era stata data ampia motivazione.

Nel verbale di esclusione, richiamato nella pronuncia, si ribadiva la gravità della condotta sanzionata dall’A.G.C.M., anche alla luce del comportamento successivo posto in essere dalle imprese (tra cui la ditta ricorrente), tanto che anche i successivi comportamenti posti in essere potevano considerarsi una “sostanziale continuazione del medesimo modus operandi sanzionato dall’AGCM”. Secondo la stazione appaltante, l’esclusione non poteva ritenersi pretestuosa, in quanto rappresentava “l’unica misura idoneaper neutralizzare l’effetto distorsivo delle offerte prodotte sulla base di una precisa strategia partecipativa”. Nel verbale riportato nella sentenza del T.A.R. Lecce ci si sofferma ampiamente sulla gravità dei comportamenti del ‘sodalizio’ e sulla sua capacità di condizionare effettivamente l’aggiudicazione delle gare, anche attraverso la corruzione di pubblici funzionari, con conseguenze, quindi, non solo in termini di distorsione della concorrenza. La conclusione cui perviene l’amministrazione è netta, ossia nel senso della compromissione totale dell’integrità e  dell’affidabilità degli operatori economici coinvolti , “che vanno pertanto esclusi dalle gare”.

Sulla scorta delle risultanze emerse, il Tribunale amministrativo di Lecce confermava dunque la legittimità dell’esclusione disposta dalla stazione appaltante per tutte le società coinvolte.

Nel medesimo contesto oggetto della pronuncia del T.A.R. Lecce, occorre rilevare come recentemente l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Bollettino n. 31 del 2 agosto 2021) abbia deliberato l’apertura di un’istruttoria finalizzata a verificare l’effettiva sussistenza di intese restrittive della concorrenza poste in essere, in violazione dell’art. 101 TFUE, nell’ambito delle gare di appalto bandite dall’Arsenale della Marina Militare di Taranto aventi ad oggetto servizi di ammodernamento di varie navi militari. Anche in questo caso, fondamentale si è rivelata l’interazione tra Amministrazione aggiudicatrice, magistratura penale e A.G.C.M.  Nella ricostruzione in fatto contenuta nel provvedimento di apertura dell’istruttoria, nel richiamare quanto già emerso in sede di indagini penali, si afferma che le condotte restrittive sarebbero state poste in essere ‘in modo sistematico’ nell’ambito di una pluralità di gare bandite dall’Arsenale Militare di Taranto a partire quantomeno dall’anno 2018 fino al 2020. Si accenna in proposito all’esistenza di una ‘consolidata prassi’ a carico delle imprese di accordi afferenti a spartizioni di lavorazioni, nonché a future strategieper l’acquisizione di nuovi appalti. Sul fondamento di questi rilievi, si ipotizza l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale segreta avente ad oggetto la ripartizione del mercato in occasione delle gare bandite dall’Amministrazione.

Alla luce di queste considerazioni, è interessante domandarsi se la soluzione adottata dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento possa ritenersi sufficientemente dissuasiva rispetto alla reiterazione di condotte, potenzialmente costituenti illecito, in grado di pregiudicare in modo grave la tutela dell’ordine pubblico economico.

In quest’ottica appaiono rilevanti gli indirizzi recentemente tracciati dalla Commissione europea nella Comunicazione sugli strumenti per combattere la collusione negli appalti pubblici e sugli orientamenti riguardanti le modalità di applicazione del relativo motivo di esclusione.

Al par. 5.9. della Comunicazione della Commissione, relativo alla ‘definizione delle condizioni per l’esclusione di un operatore economico a norma dell’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva’ si afferma che “Tali condizioni possono includere la definizione del periodo massimo durante il quale un operatore economico non sarà autorizzato a partecipare ad alcuna procedura di aggiudicazione di appalti pubblici, (….)”.

Successivamente si precisa che “L’articolo 57, paragrafo 7, prevede che, se il periodo di esclusione dalle procedure di aggiudicazione non è stato fissato con sentenza definitiva, tale periodo non può superare i tre anni dalla data del fatto in questione nei casi di cui all’articolo 57, paragrafo 4”.

Ancora più esplicita sembra essere la constatazione per cui “La direttiva non osta a che gli Stati membri specifichino che un’esclusione per un determinato periodo di tempo, a norma dell’articolo 57, paragrafo 7, può essere imposta da un’amministrazione aggiudicatrice per quanto riguarda le sue future procedure di aggiudicazione (….)”

Infine, la Commissioneconclude che “Se un operatore economico escluso dalle procedure di aggiudicazione per un determinato periodo di tempo a norma dell’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva presenta un’offerta durante il periodo di esclusione, l’amministrazione aggiudicatrice, senza necessità di ulteriore valutazione, deve respingere automaticamente tale offerta.”

Questi indirizzi appaiono delineare una prospettiva differente rispetto a quella seguita dal Consiglio di Stato. Del resto, secondo quanto affermato da autorevole dottrina, se le amministrazioni aggiudicatrici avessero il potere di escludere gli operatori economici che abbiano commesso in passato violazioni del diritto della concorrenza dalla partecipazione a future gare di appalto, gli interessi finanziari in gioco aumenterebbero in maniera significativa, costringendo l’impresa ad effettuare un’analisi costi-benefici prima di porle in essere.

Tali misure consentirebbero probabilmente di scongiurare la reiterazione di condotte illecite, come rilevato nel caso oggetto di analisi nella sentenza del TAR Lecce e del Consiglio di Stato.

Inoltre, un’esclusione automatica avente efficacia anche per le future procedure di gara potrebbe permettere di risolvere quelle situazioni in cui la stazione appaltante sia in conflitto di interessi rispetto ai concorrenti partecipanti alla procedura, esercitando in maniera sviata il proprio potere discrezionale.

In conclusione, se certamente è possibile affermare che la soluzione adottata dal Consiglio di Stato con la sentenza in commento costituisca il risultato di un sistema normativo basato sulla tutela della libertà di iniziativa economica e di concorrenza, è interessante domandarsi se, in futuro, anche in ambito europeo, sia prospettabile un orientamento interpretativo maggiormente restrittivo della giurisprudenza, in un’ottica maggiormente incentrata sulla tutela dell’ordine pubblico economico.

 

 

Condividilo:

Lascia un commento