“My Fair Lady” di Gisella Calì al Metropolitan di Catania: “…a sognare che male c’è…?”

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“My Fair Lady” di Gisella Calì al Metropolitan di Catania: “…a sognare che male c’è…?”

Allestimento delle grandi occasioni al Metropolitan di Catania con l’ultimo lavoro di Gisella Calì, My Fair Lady, prodotto da S.C. Spettacoli di Salvo Costantino e Brigata d’Arte di Belpasso e probabilmente (speriamo) di ritorno con altre date in primavera prossima.

Con gli attori Emanuele Puglia (Professor Henry Higgins), Ornella Brunetto (Eliza Dolittle), Cosimo Coltraro (Alfred Dolittle), Aldo Toscano (Colonnello Pickering), Claudia Bazzano (Mrs Pearce), Ketty Governali (Mrs Higgins) e Bruno Gatto (Freddy Enysford Hill). Completano il cast un chorus di ballerini, le ragazze e i ragazzi di Cockey: Federica Mauceri, Ilenia Giuffrida, Filomena Venturo, Francesca Mirone, Carlotta Di Bella, Alex Caramma, Alessandro Chiaramonte, Lorenzo Cristofaro, Rosario Rizzo, Giorgio Terrana. Scenografie di Susanna Messina, costumi di Elisa Mercorillo; coreografie di Federica Mauceri; vocal-coach,  Maria Carla Aldisio. Prodotto da S.C. Spettacoli di Salvo Costantino e Brigata d’Arte di Belpasso.

Foto di Gianluigi Giallo Caruso.

My Fair Lady è una meravigliosa storia ispirata al Pigmalione scritto nel 1913 da George Bernard Shaw, scrittore nato in Irlanda, di adozione inglese che certo vita facile non ebbe; a sua volta, egli si era ispirato al mito di un re di Cipro che coltivava l’arte della scultura e che appunto aveva realizzato la statua di una fanciulla, talmente perfetta che Afrodite, scoprendolo innamorato di quell’opera, si commosse e le diede vita. Una rivisitazione ante-litteram della favola di Pinocchio che alimentò poi nell’immaginario scandito da Shaw, il rapporto fra un insegnante e la sua creatura, donna di grossolane maniere che in fondo alla propria ignoranza sente l’impulso di migliorare. Nasce così il Professor Higgins, narciso, un po’ misogino e con uno spiccato attaccamento alla fonetica inglese, consapevole che parlare in modo impeccabile sia necessario per qualificarsi come persona di successo. Fiore tra i fiori, pallida violetta, viene tratteggiata la concausa della sua missione, che insegnare a parlare bene ad un inglese è impresa ardua ma non impossibile. Scommette con un altro linguista di fama mondiale – il più morbido e riservato colonnello Pickering -, di trasformare Eliza Dolittle in una dama di eleganti maniere e pronuncia ineccepibile. E vi riuscirà creando anche un alone di mistero intorno a questa immagine. A tale progetto si è ispirato il cinema in altre successive occasioni: in “Angeli con la pistola”, Glenn Ford e Peter Falk  rimangono attoniti quando vedono Bette Davis mutata da ubriacona accattona a magnifica milady; ancora “Pretty Woman” in cui Julia Roberts recupera la sua anima semplice dagli abiti succinti e chiassosi necessari per richiamare per strada l’attenzione dei clienti.

 

 

L’allestimento teatrale del 1956 in cui recitavano Rex Harrison e Julia Andrews, lo conosciamo ampiamente; come pure il film di George Cukor del 1964, in cui recitavano lo stesso Rex Harrison ma fu scelta Audrey Hepburn per il ruolo della protagonista. E’ stato e rimane uno fra i dieci più grandi trionfi cinematografici di tutti i tempi, vincendo ben otto Oscar, tre Golden Globe, tre David di Donatello, oltre ad una miriade di altri riconoscimenti in tutto il mondo. Ancora poco si è parlato della bella rappresentazione catanese di un My Fair Lady diretto da Gisella Calì, (reduce dal successo estivo di Nomen Omen) ed allestito al teatro Metropolitan senza lesinare sulle magnifiche scenografie, abiti ricercati ed eleganti, un cast di attori e ballerini ricchi di talento e bravura.

Coraggiosa ennesima opera corale curata nel dettaglio che, come nei disegni dello spazzacamino di Mary Poppins, ha portato lo spettatore fin dentro un mondo fatato per oltre due ore annunciando, come si faceva un tempo ante streaming, l’arrivo del Natale; infatti, allo stesso modo del suonatore di cornamusa che scandiva la novena, i film come My Fair Lay, Angeli con la Pistola, i lungometraggi della Disney, Via Col Vento ci accompagnavano sino alla notte di Santo Stefano, quando un occhio alla tombola ed uno al televisore, si commentava il gioco e la storia del film. Tutti a lieto fine. E tutti  senza opinionisti. E fosse soltanto il merito di questa impresa, saremmo già in debito di gratitudine verso tutta la produzione, la regista, operatori, tecnici e il cast.

Emanuele Puglia è esattamente Mr Higgins! Col suo abito di velluto, le maniere incaute ed una splendida voce incarna con uno studio meticoloso il personaggio del Pigmalione, adoperando l’astuzia di non fare l’occhiolino a Rex Harrison, ma cucendosi addosso un ruolo che a mio parere non poteva essere che suo. Il talentuoso attore balla, canta e recita in maniera sfavillante, non lesinando alcuna delle sfumature che il suo personaggio possiede e deve ripetere per essere efficace. Ci fa sorridere nei suoi duetti con Aldo Toscano che è un composto Colonnello Pickering, ironico ed un po’ buffo, incline alla comprensione ed al rispetto: un magnifico “alter ego” del polemico Professore! Aldo Toscano possiede la stoffa dell’attore versatile capace di far piangere e sorridere; qui, anche con la mimica, solo apparentemente in disparte in alcuni momenti, riesce a catturare la scena in modo brillante.

Ornella Brunetto è Eliza Dolittle: e non è semplice perché si confronta con un’icona di intramontabile bravura ed eleganza. Il risultato è pregevole e anche in questo caso si può parlare di “aderente personalizzazione” del ruolo. Sboccata, rustica e cenciosa, riesce a ripulirsi letteralmente anche delle diverse caratteristiche recitative per sbocciare in un nuovo personaggio, elegante e dalla dizione impeccabile. Ornella Brunetto è una cantante e le sue doti canore non si possono mettere in discussione: l’interpretazione di “I could have danced all night” (“avrei danzato ancor”) è davvero magnifica.

Cosimo Coltraro é Alfred Dolittle, padre di Eliza, dedito alla bella vita più che al lavoro, pronto a spillare qualche spicciolo dai guadagni della figlia. Ha una lodevole perspicacia su argomenti del quotidiano che lo porteranno, al pari di Eliza, a trovare infine un posto nella vita. Egli è in realtà, forse assai più di Mr Higgins, la voce fuori dal coro che racconta di sé, palesando dell’ambiente aspetti lontani e sconosciuti alla gente dei ceti più alti. Ruolo che ebbe la nomination all’Oscar, è da Cosimo Coltraro recitato, cantato e ballato da vero performer, con tutto il carico di simpatia che l’attore prima ed il personaggio allo stesso modo traducono nel ruolo.

Ketty Governali è Mrs Higgins: elegante, ricercata ed assente dalle polemiche se non verso il figlio che vorrebbe più malleabile. Anche Ketty Governali interpreta un personaggio per il quale l’attrice Gladys Cooper venne nominata come migliore attrice non protagonista, dunque nell’intenzione dello scrittore un personaggio dirimente che fa da collegamento empatico fra il figlio ed Eliza, alla quale manifesta tutta la sua solidarietà. Ketty Governali, da attrice di lodevole carriera qual è, riesce a dare una impronta densa al suo ruolo, gestendo fra le righe anche le sfumature “da figlio” del maturo Professor Higgins.

Bruno Gatto è il sognante Freddy Enysford Hill, affatto avvezzo al lavoro, ma con modi da gentleman che conquistano Liza, poco abituata ad essere trattata con gentilezza. L’attore/performer è davvero bravo in un ruolo a cui, anche lui, riesce a ribadire tutte quelle connotazioni originali,  espressioni personali apprezzabili. Magnifica interpretazione della canzone dedicata a Liza, “Nella strada dove vive un angelo“.

Le coreografie curate da Federica Mauceri sono composte mirabilmente per la scena, intesa sia in senso figurato che spaziale: coinvolgenti (si battono i piedi a tempo sotto le poltrone), e in un crescendo di immagini e colori, danno un’impronta che qualifica il musical anche sotto questo aspetto. I ballerini sono coordinati ed impeccabili.
Gli abiti creati da Elisa Mercorillo sono assai somiglianti alle creazioni del film, con una scelta stilistica che li rende pertinenti a questa interpretazione della commedia in cui ciascuno è spiccatamente elegante e ben calzante il proprio costume come il proprio ruolo.

Susanna Messina non delude mai: le scenografie da lei create sono fiabesche e precise in ogni dettaglio. Per My Fair Lady ha deciso di puntare su una ricostruzione dettagliata della casa del professore e l’uso di pannelli relativi alle ambientazioni in esterna, creando l’effetto di proiezione verso e da e di un cambio fluido privo di salti dispersivi.

Non può mancare un plauso alla regista Gisella Calì che ancora una volta ha mantenuto la promessa di lavorare con un cospicuo numero di addetti ai lavori, riuscendo a sincronizzare ogni variabile. My Fair Lady è un musical con un fardello di successi straordinari, impegnativo e complesso. Ogni attore dev’essere un buon performer per riuscire a danzare, cantare, recitare con la perfetta intonazione della voce, esercizio la cui complessità in questo lavoro non è affatto da sottovalutare: l’alternanza fra il cantato e recitato deve adeguarsi sia al ruolo che al momento e al numero di persone a cui si rivolge, impegno difficile a cui assurgono tutti (complimenti alla vocal-coach, Maria Carla Aldisio), soprattutto Emanuele Puglia, dotato per natura di una voce importante e, presente sulla scena quasi sempre, nella necessità di riuscire a modularla perché si parla di fonetica, e per gli innumerevoli dialoghi che egli intrattiene con tutti i personaggi della commedia, diversi per accento e condizione sociale.

Gisella Calì ha portato sulla scena, non solo un coraggioso musical rendendone aspetti ed effetti in modo convincente e di alto livello, ma anche la storia di una donna, una “invisibile”, riproponendo l’intenzione dello scrittore G.B. Shaw a prestare orecchio ai “dimenticati”, in un’epoca, la sua come la nostra, ipocrita e perbenista, convinto della necessità di riforme sociali che dovessero sostanziare la morale spostando l’attenzione verso le fasce più deboli.  E se My Fair Lady ci ha fatto gioire regalandoci l’emozione dei ricordi, il Pigmalione scritto quasi cento anni fa, ci ha risvelato che la cura e l’ascolto possono escludere dall’ombra esistenze grigie dal destino tristemente segnato.

 

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