Giovanni Anfuso fra l’Odissea di Omero e l’Inferno di Dante

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Giovanni Anfuso fra l’Odissea di Omero e l’Inferno di Dante

Fra poche ore debutterà nell’ incredibile palcoscenico naturale delle Gole dell’Alcantara, l’Inferno di Dante, adattato e diretto dal regista catanese Giovanni Anfuso; le repliche si avvicenderanno in doppi turni serali (20,30 e 22,15) sino al 6 Settembre.

 

L’Inferno in quest’edizione è affidato in gran parte al rodatissimo gruppo di professionisti a cui si ascrive la responsabilità, dunque il merito, di aver fatto diventare successi di pubblico e di critica gli spettacoli proposti in questi anni nelle Gole dell’Alcantara. In scena, troveremo: Liliana Randi (Narratrice), Davide Sbrogiò (Ugolino), Angelo D’Agosta (Dante), Salvo Piro (Virgilio), Giovanna Mangiù (Francesca da Rimini), Liborio Natali (Ulisse), Luciano Fioretto (Turista/Caronte), Gabriele D’Astoli (Paolo/Diomede/Arcivescovo Ruggieri). Con loro i dannati: Alberto Abbadessa,  Alessandro CarusoGiuliana Giammona, Luca Micci, Beatrice Pelati, Francesco RealeAlessandra RicottaFrancesco Rizzo, Rachele Ruffino e Ilenia Scaringi. Elementi scenici e costumi sono di Riccardo Cappello,  le musiche, di Nello Toscano, le coreografie di Fia Distefano e le luci di Davide La Colla. L’aiuto regia è affidatao ad Agnese Failla. Foto di Santo Consoli 2020.

Maurizio Vaccaro, presidente del Parco botanico e geologico che tutela le Gole dell’Alcantara, ha ricordato che per le restrizioni conseguenti al coronavirus, il regista è stato costretto a evitare le prove al chiuso, implementando il numero di quelle all’aperto “per mantenere altissimo il livello della rappresentazione, ricca di tante novità rispetto all’edizione precedente”.

“Abbiamo – ha confermato Anfuso – un nuovo Virgilio e un nuovo Ulisse, e coreografie per i dannati studiate in ossequio alle normative anti-covid.  Ma soprattutto, nei giorni scorsi ci siamo recati nell’azienda Vaccalluzzo Events per concordare lo schema dei fuochi e degli altri effetti speciali che rappresenteranno la partitura di questa nuova edizione di Inferno”.“Ci hanno mostrato – ha spiegato – delle macchine incredibili che accresceranno il fascino del nostro spettacolo. Alfredo Vaccalluzzo, mago degli effetti speciali, ha confermato di essere determinato a creare per Inferno degli effetti visuali all’altezza di questa rappresentazione resa magica dai versi di Dante Alighieri. E siamo certi di stupirvi”.

 

Ho lasciato Giovanni Anfuso, prima del Covid, alla Chiesa della Badia, nella quale era stata rappresentata “Agata, la Santa fanciulla”, giusto nei giorni della festa della nostra amata Patrona. Lavoro poetico che ha trionfato per la cura dei dettagli scenici, semplici ed aderenti all’ambiente, per la scelta degli attori, lo sviluppo narrativo su due livelli anacronistici perfettamente concatenati e discorsivi. Serata di un inverno tiepido, emozione vibrante a lungo. Tutto questo in prossimità di una chiusura di cui ancora non si sospettavano gli effetti…

A fronte di una timida e parziale riapertura (purtroppo ancora per i teatri, limitata non al chiuso), il regista di “Un momento difficile” (insieme ad Angelo D’Agosta, allo Stabile, con Massimo Dapporto, Debora Bernardi, Francesco Foti e l’indimenticabile Ileana Rigano) ha rimesso in scena l’Odissea di Omero e l’Inferno di Dante, i due superbi allestimenti che vedono le Gole dell’Alcantara come surreali palcoscenico e platea. Con i necessari accorgimenti sanitari, sono stati garantiti durante le serate stabilite due appuntamenti che per l’Odissea hanno già fatto registrare il tutto esaurito, richiamando un pubblico composto quest’anno di turisti prevalentemente siciliani provenienti da ogni provincia dell’Isola.

L’Idea di agganciare la classicità, la storia, ripristinare gli archetipi e ribadire che nulla s’inventa ma tutto può essere rimaneggiato, seppure con profonda riverenza, conferisce già titolo e sostanza nello sviluppo dell’idea. Forse la Sicilia, simile ad una cornucopia dalla quale sgorgano ricchezze artistiche, architettoniche, ambientali e paesaggistiche, è messa lì in attesa di ricevere considerazione, suggerendo solo ai più attenti, elementi di struttura che ben si integrano in una rappresentazione. Se è vero che il teatro altro non è che un magnifico gioco di prestigio senza trucchi e senza inganni che solo i maghi della fantasia riescono a rendere realistico, la scelta dell’ambiente trasferisce tutto nella dimensione onirica più poetica.

  

Per l’Odissea e l’Inferno, Giovanni Anfuso ha scelto (o è stato scelto da) un luogo ultraterreno, geologicamente rilevante ed emotivamente trascinante, soprattutto di sera, quando il flusso dei turisti è rallentato e rimane il silenzio musicato dal brusio degli spettatori e poi soltanto dallo scorrere del fiume….

“Panta rei“… e la Natura si riprende i suoi spazi ospitando l’uomo che si trascina fra peccati, incertezze, castighi e smarrimenti. Un uomo denudato di ogni fragile sicurezza, nella speranza comunque di un approdo che sia esso in questa vita presso una riva ospitale, o la speranza di una vita oltre la morte che si presenti con rigorosi parametri di giustizia, nella intenzione di redarguire, di “Removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis“. E’ un viaggio, come quello di Ulisse, alla ricerca di una stabilità necessaria per godere di istanti di felicità.

Giovanni Anfuso sorride al mio invito di esprimere una riflessione di pancia sia per la creatura a cui sta lasciando la mano, e che ha accompagnato sino allo scorso fine settimana (Odissea), che per la nuova fatica non del tutto sconosciuta che sta abbracciando a partire da stasera (Inferno).

<<Non so in realtà più a chi dare i resti. Comincio subito parlandoti dell’emozione che ogni sera personalmente rivivo nell’ascoltare contenuti scritti tanti anni fa, attuali come se fossero stati vergati di recente; mi riferisco innanzi tutto all’azione del Re Alcino nell’accogliere il naufrago che gli era sconosciuto (dopo si rivelerà essere Odisseo); egli pronuncia una frase che non può dare spazio ad interpretazioni, ma è secca ed asciutta: “un naufrago va soccorso ed accolto sempre per legge umana e divina”. Solo dopo chiede al poveretto notizie sulla sua identità. “Non m’importa chi tu sia, sei un naufrago ed io ho il dovere e la gioia di accoglierti perché l’accoglienza e la condivisione sono anche gioia. Se prendiamo queste parole antiche e le rapportiamo agli eventi tristemente attuali, sentiamo come Omero, da qualche parte del mondo e del tempo forse viene per rimproverarci su quanto viviamo male; in realtà, tutto il lavoro, l’Odissea, è pieno zeppo di contenuti contemporanei e che parlano all’odierna attualità. La nostra Odissea presenta due Odissei in scena: quello giovane, assetato di conoscenza, con la voglia prepotente di acchiappare la vita e mettersela in tasca; quello maturo che vuole tornare a casa e mettere a frutto le conoscenze, i percorsi che ha compiuto alla luce di una ritrovata stabilità e serenità, all’ombra di una certa saggezza. La figure dello stesso personaggio, – proposto a volte come l’uno lo specchio dell’altro e viceversa -, le ho pensate due anni fa, quando ho dato avvio all’adattamento del testo e oggi con tutto ciò che è accaduto, penso che possano tornarci utili, come se ciascuno di noi abbia il bisogno di riposarsi all’ombra di una ritrovata stabilità, di una conquistata saggezza, una grande voglia di riprogettare il proprio futuro, mettendo ormai alle spalle ciò che è stato e chiudere con un passato che ci ha ferito e messo alle corde. In scena, c’è anche la figura di Omero, che si muove fra i suoi personaggi, gioendo o addolorandosi delle conseguenze delle venture in cui essi s’imbattono. In sintesi, ho voluto raccontare una grande favola, forse perché un poco tutti abbiamo bisogno di qualcosa che possa prospettarci verso la positività. Questa favola l’ho fatta raccontare ad Omero, ad Odisseo giovane e maturo, soprattutto l’ho fatta raccontare ad Athena, la Dea dagli occhi lucenti che interviene di quando in quando sulla scena, a togliere dai guai Odisseo così come vorremmo accadesse nella nostra vita, per gli affanni e le tribolazioni di tutti i giorni. Nasconde in sé un seme che cerco di far mio, come se Omero avesse voluto dirci che il genio è saggezza e gioventù>>

  

La staffetta si avvia ad una nuova fase ed il testimone viene ceduto all’Inferno...e Il regista prosegue…

<<Come si fa una riflessione? mi trovo impreparato, ma chiarisco qualche idea: l’Inferno nasce da una proposta che mi è stata fatta dai produttori Luciano Cadotti e Ninni Trischitta che un giorno mi invitano a fare un sopralluogo alle Gole dell’Alcantara, come se io non ci fossi mai stato! Una volta completato ed andati a pranzo a Motta Camastra, mi spiegano che il sopralluogo è stato finalizzato all’allestimento di un lavoro, precisamente l’Inferno di Dante. Inferno ed Infarto hanno la stessa radice, nel senso che davvero mi è venuto un coccolone! Più volte sono tornato sul posto non per guardare con gli occhi del turista, del bagnante come da bambino andavo a fare con mio padre, bensì con occhio che doveva sondare ogni potenziale dettaglio agevole allo sviluppo dell’idea. La genesi di questo lavoro è stato molto lunga perché vai a confrontarti con un testo noto a tutti, ad ogni italiano! Pur non di meno, abbiamo accettato una sfida che è risultata vincente: oltre centocinquanta repliche! Lo abbiamo rappresentato a Noto, alle Cave del Gonfalone a Ragusa, quindi ha avuto tantissimo successo. Spettacolo pensato appositamente per le Gole dell’Alcantara, senza ausili scenografici di alcuna natura se non qualche elemento di attrezzeria come una pedana, una finta colonna; nessuna violenza al luogo come istallazione scenografica, proprio perché la prima idea che ho avuto è stata “chissà se il pubblico può identificarsi con quel luogo…” Mi spiego meglio: il pubblico che scende attraverso l’ascensore in un sito quanto meno aspro fa identificare il pubblico con i dannati, o meglio con Dante che compie il suo viaggio in un posto stranissimo e poi alla fine ritorna su “a riveder le stelle”. L’idea dello spettacolo è questa: da una parte fare identificare il pubblico con i dannati e dall’altra spostare l’attenzione sulla possibile identificazione con Dante e raccontare per immagini una storia che tutti sappiamo a memoria. E’ sorprendente il successo di Inferno”, su tutte le fasce di pubblico, di ogni ordine culturale e sociale, ma è quasi inaspettato e sorprendente il successo trasversale per fasce di età: dal liceo in poi, gli spettatori vengono a guardare il nostro spettacolo come fosse un concerto rock: vanno in sincrono con gli attori declamando e ripetendo le frasi più famose. C’è un appuntamento segreto che io ho col pubblico e si svolge alla fine del quinto canto di Paolo e Francesca: tutto il pubblico, tutto assolutamente, insieme va con Dante quando questi declama “e caddi come corpo morto cade”. E’ un successo eterno, Dante con la Divina Commedia ha parlato davvero ad ogni uomo raccontando la fragilità, i desideri, i fallimenti e quanto di più intimo e più segreto possa esistere all’interno di ogni uomo, in ogni tempo e latitudine. Ecco perché potremmo ancora assistere a chissà a quante messe in scena e il pubblico si sentirebbe sempre ed ancora coinvolto. Noi ce la mettiamo tutta: facciamo un grande lavoro di ricerca sulla metrica, cerchiamo di essere molto precisi perché crediamo che ci sia un modo per restituire Dante al pubblico e l’unico metodo appunto possibile e quello di essere fedele ai suoi versi e al suo intento: andare dall’altra parte tornare e e raccontare ciò che si è visto chissà se il pubblico uscendo, non possa fare come ha fatto Dante, di un mondo affascinante meraviglioso che non si può spiegare ma solo vivere>>.

 

 

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