CGIL CISL UIL SNALS e GILDA boicottano lo sciopero generale femminista del 9 marzo”, da Catania forte denuncia dell’USB

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CGIL CISL UIL SNALS e GILDA boicottano lo sciopero generale femminista del 9 marzo”, da Catania forte denuncia dell’USB

Landini è chiaro, la CGIL non sostiene lo sciopero femminista del 9 marzo. Assieme alla CGIL, ci sono CISL, UIL, SNALS e GILDA, assieme per uno sciopero dei precari della scuola indetto per il 17 marzo, poi anticipato al 6 marzo, che di fatto “ignora” lo sciopero generale nazionale del 9 marzo , come richiesto dal movimento Non Una Di Meno e proclamato dall’USB, in occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale della donna. Intanto, “mentre la CGIL decide di boicottare platealmente lo sciopero femminista – dice la catanese Dafne Anastasi (USB Pubblico e Impiego e Non Una Di Meno) attraverso la proclamazione dello sciopero della scuola ad appena due giorni dall’8 marzo e il suo Segretario generale, nel dare indicazioni alle strutture e ai territori, “riconferma di non aderire a tali iniziative e di non dichiarare sciopero generale” e invisibilizza del tutto il movimento femminista, non degnandosi nemmeno di nominarlo, USB, convocata alla Camera il 18 febbraio per l’ audizione XI Commissione sul tema delle Pari Opportunità, all’ inizio del suo intervento evidenzia proprio la lacuna della mancata convocazione di Non una di meno come parte sociale legittimata pienamente al dibattito in materia.Non solo. L ‘analisi e la piattaforma di lotta di USB, ovvero il tema della riproduzione sociale e l’ invisibilizzazione del patrimonio di tempo di lavoro non retribuito, a cui non viene riconosciuto pubblicamente alcun valore economico nonostante valga 557 miliardi di euro l’anno e pesi sul PIL nazionale per il 34 %., il rifiuto del welfare aziendale, la richiesta del salario minimo e del reddito di base, oltre ad essere strettamente connesse con le rivendicazioni del piano femminista di Non una di meno, segnano una distanza siderale con le organizzazioni sindacali che da anni ormai vanno progressivamente a sdoganare e diffondere istituti che assumono come dato immodificabile che il peso del lavoro riproduttivo debba ricadere sulle donne, riproducendo quindi la divisione sessuale del lavoro e la resa sul progressivo smantellamento dello Stato Sociale.Sulla direttrice di dismissione dei servizi pubblici si inscrive, infatti, la retorica della conciliazione, una vera e propria ideologia che mistifica doppiamente la realtà: dallo smart working che scarica parte dei costi di produzione sulle lavoratrici e sui lavoratori e li isola da un contesto collettivo di socializzazione, senza confine tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo, fino al welfare aziendale, inserito dai sindacati confederali nei contratti collettivi, che più di tutti rappresenta insieme la causa e la conseguenza dell’arretramento dello Stato dal pubblico al fine di favorire imprese e privati e funge da acceleratore delle disuguaglianze poiché indebolisce ulteriormente il welfare pubblico, crea disparità tra chi è dentro o fuori il mercato del lavoro e, all’interno dell’occupazione diversifica su base geografica, di dimensione aziendale, di settore produttivo, qualifica, età e genere, costringendo alla rinuncia di quote importanti di salario.Anche alla luce del quadro di riferimento, in piena continuità con le fallimentari politiche degli sgravi e delle detrazioni fiscali a favore delle imprese, dei bonus elargiti una tantum, della cessione di salario a fronte di interventi ornamentali (come ad es. “opzione donna”) riteniamo ancora più urgente riportare il discorso sulla centralità del tema delle disuguaglianze, di genere nella fattispecie , e sulla necessità di mettere in campo interventi strutturali di contrasto alla violenza economica.Dopo questa audizione siamo ancora più convinte della necessità dello sciopero generale proclamato, su appello del Movimento Non Una Di Meno, per il prossimo 9 marzo e che vedrà per il quarto anno consecutivo le donne mobilitarsi in tutte le piazze del mondo”.
– All’interno della CGIL non tutte e tutti concordono con le posizioni di Landini. Come accade a Catania con Emma Boeri (CGIL FCatania) che, attraverso Facebook, dichiara: ” Condivido e sottoscrivo l’appello di decine di compagne iscritte alla CGIL che chiedono alla Flc di ritirare l’indizione dello sciopero della scuola per il 6 marzo e di farlo coincidere con la data del 9 marzo, giornata in cui è già da tempo programmata l’astensione del lavoro indetta dal movimento femminista NON UNA DI MENO, e che si pone in relazione con le mobilitazioni decise in occasione dell’8 Marzo. La questione non è “femminile”…, è culturale, civile, politica” .
Un’altra sindacalista catanese, Claudia Urzi’, del Coordinamento nazionale USB Scuola, riportando il testo del comunicato con cui USB ha indetto lo sciopero del 9 marzo, evidenzia che “per il quarto anno consecutivo , abbiamo risposto all’appello lanciato dal Movimento Non Una Di Meno proclamando lo sciopero generale, di tutte le categorie pubbliche e private, per l’intera giornata del 9 marzo. Sarà astensione da ogni attività lavorativa fuori e dentro casa, formale o informale, gratuita o0 retribuita. Contro lo sfruttamento del lavoro a intermittenza, precario, demansionato, ricattabile, gratuito, invisibile, che erode tempi di vita e diritti.
Uno sciopero per riaffermare la necessità di mettere al centro del discorso le disuguaglianze e la violenza di genere, in tutte le forme attraverso le quali pervadono l’intero arco della vita delle donne.
Uno sciopero dalle attività produttive ma anche dei consumi e da quel lavoro domestico e di cura, che ancora troppo spesso grava in via esclusiva sulle donne, siano esse native o migranti, che fungono da ammortizzatore sociale di un welfare sempre più privatizzato.
Uno sciopero per dire basta alla violenza maschile sulle donne, ai femminicidi, alle discriminazioni di genere e alle molestie nei luoghi di lavoro.
Uno sciopero per gridare che non se ne può più delle disparità salariali, della disoccupazione/inoccupazione, della precarietà giovanile e di pensioni da fame in vecchiaia, della segregazione lavorativa, del ricorso massiccio al part time involontario, di lavori non qualificati nonostante una maggiore scolarizzazione, di richiesta di dimissioni in bianco all’atto dell’assunzione. Perché senza autonomia economica non si esce dalla violenza.
Uno sciopero a difesa della L. 194; per opporsi al “diritto” di lavorare fino al giorno del parto; per politiche di sostegno alla maternità e paternità condivisa;
Uno sciopero per abolire leggi e decreti razzisti, che impediscono la libertà di movimento dei e delle migranti, condannando queste ultime a ripetuti stupri e violenze nei luoghi di transito e permanenza forzata.
Uno sciopero per rivendicare il diritto ai servizi pubblici gratuiti ed accessibili, al reddito di base universale e incondizionato, al salario minimo, alla casa, al lavoro e alla parità salariale; all’educazione scolastica, a strutture sanitarie libere da obiettori.
Per il riconoscimento ed il finanziamento delle Case Rifugio, dei Centri Antiviolenza ed il sostegno economico per le donne che denunciano le violenze”.

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