Valentina Ferrante sulle Orme del Sacro al Canovaccio

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Valentina Ferrante sulle Orme del Sacro al Canovaccio

Abbiamo assistito l’altra sera ad una rappresentazione sacra al Teatro del Canovaccio a Catania, concelebranti Valentina Ferrante e Federico Fiorenza che sono anche gli autori dell’apparato liturgico; diaconi e musici sono stati Alessandro Aiello e Pietro Casano.

Oggetto di venerazione e consacrazione è stata l’Irragionevolezza, l’Assenza della Ragione conosciuta volgarmente col nome di Follia che, come tutti sanno non appartiene agli uomini ma agli Dei, al Divino, a Dio che di tanto in tanto la concedono agli umani talché essi lambiscano il cerchio del sacro e si sentano un po’ Dei. E’ stato un dono ai confusi spettatori, un dono; tanto inaspettato quanto inquietante e carico di speranza al tempo stesso. Sarà così … o forse ci siamo sbagliati. La rappresentazione c’era ma non celebrava la Sacra Follia bensì il suo opposto, la civilissima Ragione degli umani deificata dagli illuministi e deificata sul palcoscenico dalla nostra coppia di sacerdoti. Eh si, doveva essere proprio così, una dura critica alla Follia della Umanità che crede al primo psicopatico che urla più forte e gli consegna il diritto vitae ac necis su se stessa.

Una gran massa di imbecilli, di pecore. E difatti lo spettacolo è aperto dal belato molesto di una pecora e prosegue con una serie numerosissima di invettive reali e simboliche contro l’insania della gente che col silenzio o con l’azione si fa complice delle abiezioni del Potere. La recitazione è volutamente urlata, lo spazio scenico abbrutito da una umanità confusa e tutta uguale, piccina e rasoterra come sono gli uomini, tutti piccoli piccoli quando sono pervasi dalla nebbia/follia che li rende ciechi! Ecco, “La Nebbia” ha titolo la pièces, una nebbia colpevole di cui l’Umanità porta tutto il peso e che oltre alla condanna inevitabile e senza sconti, si attirerà il disprezzo dei sacerdoti e della loro Weltanschauung.

Ma l’Umanità non era presente alla rappresentazione; a dire il vero c’era una sua piccolissima rappresentanza (la chiamano pubblico a teatro). Peggio per loro!, si saranno detti i due protagonisti; e lì, cari lettori, non vi dico e non vi conto quello che è successo! Un cafarnao di insulti e contumelie, alcune palesi altre subliminali allo sventurato pubblico che, come intontito, non capisce che succede; applaude, ride come un pugile suonato quando viene paragonato ad una pecora, alla monnezza, quando, contento, s’alza ed è ben disposto a cantare assieme ai sacerdoti l’inno alla conservazione del tiranno e della sua chiesa. Ragazzi!, che spettacolo fantastico! Mai visto. Sia reso onore al genio di Valentina e di Federico. Bravissimi, perché il mondo va proprio come loro l’hanno descritto e la gente è come loro la vedono.

Queste ed altre cose non molto dissimili dalle loro aveva scritto alla fine del diciannovesimo secolo Gustave Le Bon antropologo, psicologo e sociologo francese nella sua opera fondamentale “Psicologia delle folle”. Ad onor del vero, tuttavia, ad accogliere la monnezza e il suo corollario di abiezioni nella vita degli uomini non è la Follia/Irragionevolezza ma la chiara Ragione, la consapevolezza tutta argomentata che la monnezza e le sue abiezioni abbiano una qualche utilità che alimenta la speranza di una utopia tutta personale e certamente non collettiva.

E’ la Ragione che ci fa tutti uguali, ci fa tutti pecore, belve feroci. La Follia che appartiene agli Dei ci fa diversi, ci carica di fantasia, ci fa innamorare, ci fa operare per il bene, per il giusto; proprio come i nostri due novelli sacerdoti dell’Irragionevolezza, eroi/Dei dell’inconscio, che arsi nel desiderio di Giustizia e Verità – “Il teatro deve scuotere le coscienze. Il teatro è bellico” sostiene la sacerdotessa – hanno scaricato la propria rabbia maieutica sul disorientato pubblico. Andate a vederlo amici lettori alle prossime repliche questo spettacolo emozionante e portentoso; soprattutto non perdetevi l’incredibile emozione che vi procurerà l’espressione di Valentina mentre s’erge a guardarvi dritto negli occhicol petto e con la fronte com’avesse l’inferno a gran dispitto“: Io so io e voi nun sete un …

Absit iniuria verbis naturalmente.

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