La cambiale dei ricordi in bianco e nero di Emanuele Puglia e Cosimo Coltraro al Nuovo Teatro Val D’Agrò

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La cambiale dei ricordi in bianco e nero di Emanuele Puglia e Cosimo Coltraro al Nuovo Teatro Val D’Agrò

C’era una volta il Varietà del Sabato sera, che rendeva sereno il tempo serale di due generazioni di italiani, dalla fine degli anni cinquanta del ventesimo secolo fino – occhio e croce – alla metà del  primo decennio del secolo ventunesimo; è stato stroncato dal definitivo affermarsi del commercio dell’effimero chiamato volgarmente movida, che si  è diffuso nelle grandi città via via esaurendo la stragrande maggioranza degli spettatori e dalla progressiva, inevitabile scomparsa anagrafica dei protagonisti.

Era una sottospecie di spettacolo, quello del Varietà che ha le sue radici nella seconda metà del secolo diciannovesimo e che ha avuto una fortuna e una diffusione tale che l’ha resa popolarissima con l’avvento della televisione.

Chi scrive, per ragioni anagrafiche, ne ha conosciuto soltanto la forma televisiva, l’ultima ad affermarsi e anche l’ultima che può realmente riferirsi alle forme storiche nelle quali si è manifestata: caffè charmant, burlesque,  feuilletton, vaudeville, esecuzioni di artisti di strada o circensi,  e altri ancora.

Il teatro di varietà, o più comunemente, varietà, è uno spettacolo di arte varia costituito da una sequenza di numeri e attrazioni di generi diversi (recitazioni comiche, canzoni, danze, farse clownesche, acrobazie, illusionismo, macchiette, parodie e altro), senza un filo conduttore che li unisca.

Improvvisazione, capacità di tenere la scena sono centrali per una stretta comunione tra interpreti e pubblico, e da questo si trae ispirazione, acquisendone linguaggi e tematiche e a differenza del teatro drammatico o, in generale, del teatro “alto”, non viene considerato vera arte e subisce (a torto) una sorta di ostracismo da parte dei critici e degli amanti del teatro.

In passato gli artisti di varietà non potevano addirittura accedere alle pensioni che lo Stato Italiano elargiva ai loro colleghi di altri settori, mentre i teatri di varietà stessi non fruivano di alcun sovvenzionamento o incentivo statale.

Lo spettacolo di varietà prendeva il nome di Rivista quando era ad alto livello e organizzato in modo rigoroso come unione di numeri distinti – comunque legati da un sottile filo che poteva essere un tema generale – ed era basato su un copione scrittoaltrimenti prendeva il nome di avanspettacolo.

Come altri generi teatrali minori, anche il varietà subì la concorrenza prima, dagli anni ’30, del cinema e  poi, dagli anni ’50, della televisione. Molti suoi caratteri peculiari vennero poi assunti dal varietà radiofonico e dal varietà televisivo che è stata l’unica forma che quelli nati a metà del ventesimo secolo  hanno assorbito e a cui sono irrimediabilmente legati.

Per tutti questi motivi ed altri ancora che – per brevità – non si riportano, fummo pervasi da una insolita eccitazione e dal sottile piacere di pregustare lo spettacolo scritto da Emanuele Puglia, interpretato da lui medesimo e da Cosimo Coltraro per la regia di Angel Parricet  e rappresentato a Santa Teresa di Riva (ME) al Nuovo Teatro Val d’Agrò diretto da Cettina Sciacca, instancabile operatrice culturale perché ci aspettavamo di rivivere i momenti di spensieratezza della nostra fanciullezza e della nostra adolescenza passati il sabato sera con i Varietà della RAI.

Lo spettacolo è Nati in bianco e nero che, quasi a chieder scusa, ha per sottotitolo Piccolo, involontario varietà.

È una silloge di alcuni dei momenti più significativi degli sketch che furono ospitati in quegli spettacoli dal Gastone di Petrolini alla Lulù di Aldo Fabrizi, Da Franco Franchi a Rick e Gian e a tanti altri per due ore di puro divertimento.

I giovani spettatori hanno visto con autentico interesse lo spettacolo consci del fatto di vedere pezzi di spettacolo a loro sconosciuti e godendo di trovate, battute e calembour davvero spassosissimi.

Gli anziani hanno fatto per tutto lo spettacolo esercizi di memoria, tentando di anticipare le battute più famose che improvvisamente venivano alla luce da una memoria che le aveva riposte da decenni in un mucchio dimenticato di neuroni che, c’è da scommettere, non si capacitavano di ritornare a essere usati come tutte quelle cose che ti porti dentro e che possono tornare a riprender vita in qualsiasi momento sull’esca di un solo gesto, di una sola parola.

Emanuele e Cosimo sono stati sempre all’altezza della situazione e della loro fama di coppia comica brillante. Hanno reinterpretato gli sketch sulla linea di un doppio binario; da un lato strutturale (per così dire) ricalcando pedissequamente i tempi, i modi e la sostanze dei pezzi scelti, dall’altro hanno reinterpretato i personaggi secondo la loro cifra stilistica e la loro visione del mondo realizzando un manufatto che fra nuovo ed antico è risultato gradevolissimo e molto apprezzato dal pubblico nelle due sere di replica, c’è da scommettere che sarà ripreso a lungo in tante altre piazze ora che la pandemia ha attenuato la sua asfissiante tenaglia.

L’orchestra che ha realizzato l’accompagnato musicale dell’intero spettacolo e stata diretta dal maestro Bruno Canfora … scherziamo cari lettori, il fantasma del maestro agita tutt’altri luoghi!

L’orchestra l’ha fatta da solo, in maniera impeccabile il maestro Anselmo Petrosino con la sua fisarmonica digitale (Bugari Evo).

Credit fotografico Gianluigi Caruso

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