“Lettera al Padre” a Fabbricateatro: la disperazione si scrive e si recita

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“Lettera al Padre” a Fabbricateatro: la disperazione si scrive e si recita

Alla Sala Di Martino, nell’ambito del progetto “Il Caso K” con l’atto unico “Lettera al padre”, dal romanzo di Franz Kafka, nell’adattamento e regia di Gianni Scuto, si è conclusa la rassegna invernale di Fabbricateatro. Con Domenico Maugeri (il padre Hermann), Alessandro Chiaramonte (il giovane Franz), Alessandro Gambino (l’amico Sorel), Barbara Cracchiolo (la madre Julie), Elisa Marchese (la sorella Ellie); scenografia di Bernardo Perrone; costumi di Umberto di Baviera.

Lettera al padre (Brief an den Vaterè una lettera di Franz Kafka al padre, scritta nel 1919, quando aveva ventisei anni e pubblicata nel 1952, ventotto anni dopo la sua scomparsa, avvenuta a causa della tubercolosi. Franz era un ragazzino minuto, di mite aspetto; al contrario, il padre statuario ed imponente, di aspetto aggressivo. Con una polemicità ridondante che riversata a getto continuo su Franz, tanto diverso da lui, generò nel figlio paradossalmente un senso della vergogna e la paura di renderla evidente, piuttosto che  l’ingiustizia dei rimproveri subiti.

           

Chi si aspetta dall’approccio della lettura delle opere di Kafka, la narrativa psicologica, purtroppo avrà nella sua comprensione vita complicata; perchè lo scrittore  non analizza i suoi dolori, le proprie inquietudini in un percorso introspettivo, ma li racconta e li scrive. E non si sofferma su uno stile preciso attraverso il quale vuole raccontare l’angoscia dei momenti bui che attraversavano il pensiero sociale ed intellettuale dell’Europa in quegli anni, ma ne è egli stesso un rappresentante e raccontandosi si definisce. Una sorta di automedicazione avviata per esternare gli avvilimenti subiti cercando di capirli, lo spazio cercando di affermare se stesso.

Domenico Maugeri/Hermann Kafka riesce a stabilizzare una espressione vitrea nei suoi, in realtà espressivi occhi azzurri e far trasudare da ogni poro della sua pelle tutto il severo rammarico per questo figlio mal riuscito; voce baritonale, minacciosa durante la recitazione, assume  sfumature ricche di carisma.  Alessandro Chiaramonte/Franz Kafka, in realtà bello e prestante, riesce ad assumere tutta la vergogna e la paura di provarla, ripiegandosi letteralmente su se stesso; già bravissimo questo ragazzo, continuando a studiare e recitare, credo proprio abbia grandi margini di arrivare lontano. Barbara Cracchiolo/Julie Kafka è la mamma di Franz e la moglie di Hermann; ovvero angosciata e pietosa verso il povero figlio oggetto di continui richiami e riverente verso il ruolo del marito; mi ha emozionato la sua interpretazione dietro la quale è evidente lo studio del personaggio e della figura, come può essere facilmente confrontato sulla foto della vera signora Kafka, pubblicata in bianco e nero. Alessandro Gambino/l’amico Sorel  si muove lungo il palcoscenico praticamente seguendo le ombre allungate degli altri personaggi; esterno al nucleo familiare, avanza fra gli uni e gli altri a volte con atteggiamenti da “grillo parlante”, tal altre come un sospetto impronunciabile…L’attore è dotato di una caratteristica particolare legata ad un timbro di voce grazie al quale (l’ho apprezzato nei vari personaggi interpretati ne “Il Processo”) imprime valore personale al ruolo. Elisa Marchese/Ellie/la sorella, bravissima nel definire il suo ruolo con accenti di dolcezza e rassegnazione, come se presagisse la sorte che sarebbe toccata di lì a poco a lei e alle sue sorelle, deportate ed uccise nei campi di concentramento, fra il 1942 ed il ’43.

Cinque attori che hanno saputo rendere con chiarezza e senza indugi questa non facile prova. La scelta su ciascuno di loro è stata operata con mano felice.

Hermann, il padre onnipresente di Franz, dotato di talento educativo, venuto su in un’epoca in cui erano stati esautorati tutti i parametri della comunicazione, rappresenta esattamente il rigido oligarca che comunque sia, fa il bene del popolo. Il padre è il dittatore all’intero della famiglia, ma per il bene della stessa, obbligato alle prediche ma sollevato dalla responsabilità di dare il buon esempio. Questo stesso super uomo sarà lo stesso che, conclusa questa epoca di delirio e prepotenza sia sociale che territoriale, si ritroverà svuotato di ogni senso anche in ragione di aspettative totalmente disattese dalle conclusioni del conflitto mondiale.

Mantenendo la scenografia di Bernardo Perrone, utilizzata per “Il Processo”, se lì rappresentava lo sbarramento e la sopraffazione, qui è un imbuto nel quale fluiscono strozzandosi tutti i tentativi di emergere. Bravo! Insieme alla scenografia di “Nove” e “Main Kampt” (al Canovaccio) a cura di Vincenzo La Mendola, quella de “Il Gallo” (al Teatro Brancati), curata da Riccardo Perricone, la più bella scenografia che ho avuto modo di apprezzare negli ultimi due anni.

                        

Particolarmente interessante la scelta delle musiche da parte del regista che privilegia come sottofondo o tappeto sonoro dell’intrigante vicenda, musiche della tradizione yiddish (una è cantata da Barbra Streisand, l’altra – “Gam Gam Gam” – dai bambini ebrei mandati ai forni crematori dai nazisti) ed una mazurka d’epoca che rendono più intenso il pathos, l’intrigo interiore della pièce.

Gianni Scuto, ha dichiarato –   “Lettera al padre“ rappresenta per Franz Kafka uno dei momenti più intensi, espressivi e crepuscolari della sua intera produzione letteraria. Qui lo scontro perfino fisico tra un padre insensibile, abbrutito da una ideologia falsamente yiddish e da una morale di irreprensibile assolutezza nei confronti del debole figlio ci pongono nella dimensione di una crisi catastrofica che perde di sensibilità solo al contatto con l’ambigua realtà di un’educazione tipicamente prussiana dedita alla guerra, alle armi, al rigore e alla forza del comando, accanto all’eterna scelta sensibile dell’oggetto del desiderio del figlio che viene così continuamente accusato e portato in forte regressione emotiva, guidato e comandato quasi come un burattino”.

Kafka lasciò i suoi lavori, sia editi che inediti, al suo amico ed esecutore letterario Max Brod e all’ ultima donna che lo accompagnò, Dora Diamant, con la preghiera di distruggerli alla sua morte: per fortuna, entrambi disattesero la sua ultima volontà.

                            

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