Trovarsi quando si è Qualcuno, mistopirandello al Canovaccio.

Trovarsi quando si è Qualcuno, mistopirandello al Canovaccio.

Coraggiosa iniziativa del Teatro del Canovaccio di Catania che ha prodotto e messo in scena per la regia di Marco Longo una pièces teatrale inconsueta tratta da due drammi di Pirandello Trovarsi e Quando si è qualcuno, nella quale i pezzi scelti di entrambe le opere sono rappresentate e frammiste fra loro nel corso di due atti, per “rendere omaggio all’autore” e “per fare incontrare due figure pirandelliane provenienti da due mondi diversi, ma contigui” come chiarisce il biglietto di sala: una specie di Pirandello nel Pirandello schiacciando l’occhio a “Questa sera si recita a soggetto”.

Una endovena forte di Pirandello che ha appassionato e entusiasmato il pubblico a tal punto che s’è dovuta aggiungere una ulteriore serata a quelle già programmate per la necessità di soddisfare le richieste: segno evidente della fame di Pirandello dei catanesi e dell’indovinata intuizione di rappresentare due drammi poco frequentati, non solo a Catania, del repertorio pirandelliano.

Due drammi appartenenti al cosiddetto ciclo del Teatro nel Teatro, tra gli ultimi ideati e messi in scena dal girgentano, con sullo sfondo il proprio travaglio  per la tormentata, passionale , ancorché priva di consumazione – dicono i maligni?, i benigni? – relazione con l’attrice Marta Abba.

Due drammi intimi – chi si cura normalmente dei malesseri degli attori delle attrici: i loro compagni, forse – e poco popolari, per questo poco rappresentati, nei quali il tema principale è quello della identità d’attrice nell’uno e di poeta nell’altro.

Identità che si smarrisce e si ritrova per poi smarrirsi ancora in un andirivieni tormentato e borghese dove “ciascuno vive dentro ai suoi egoismi vestito di sofismi,e ognuno costruisce il suo sistema, di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali, scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno” per dirla con Francesco Guccini.

Attori, autori, artisti (Donata Genzi e Qualcuno) che vivono il dramma di chi scopre d’avere due o più personalità e non riesce a raccapezzarcisi e che si dilaniano tra se stessi e con i personaggi di contorno in un tempo in cui l’analisi freudiana non riusciva a trovare gli sbocchi salvifici che Jung avrebbe fatto intravvedere in appresso col suo processo di individuazione, che avrebbe portato all’accettazione della propria dualità; e ci fermiamo qui per non tediare ancor di più il lettore benevolo.

Donata Genzi, una statuaria Stefania Micale, non riesce, alla fine, comunque a trovarsi e sceglie la comoda casa dell’essere personaggio piuttosto che persona e rifiuta di sentire il consiglio dell’amica Nina, la puntuale e impeccabile Agata Raineri:  “Il sentimento è cieco. Chi ama chiude gli occhi”, per paura o inadeguatezza, forse; in ogni caso incapace a donarsi.

Allo stesso modo di Qualcuno, un “sedentario” Saro Pizzuto, dopo l’inutile tentativo ci cambiare il proprio “Pupo” ringiovanendolo, finirà per dovere accettare e difendere il “Pupo” che era, in quanto realizza che il “Sistema” non si può battere; finirà per rinunciare al soffio di vita dell’amore di Verroccia – la verace, frizzante Carmela Silvia Sanfilippo –  e ripiomberà nella precedente condizione di uomo-statua.

Il Tranfert tra attori e pubblico ha funzionato alla grande, ogni spettatore s’è emozionato forse guardando dentro di sé “… perché nulla è piú complicato della sincerità. Fingiamo tutti spontaneamente, non tanto innanzi agli altri, quanto innanzi a noi stessi; crediamo sempre di noi quello che ci piace credere, e ci vediamo non quali siamo in realtà, ma quali presumiamo d’essere secondo la costruzione ideale che ci siamo fatta di noi stessi”, come scrisse lo stesso Luigi Pirandello.

In tutto questo groviglio in cui ciascuno pensa a se stesso pensante, forse  chi fa quello che sente vince sempre, anche quando perde; ma bisogna esserci portati e avere la fortuna dalla propria parte.

Il collettivo integrato da Gianmarco Arcadipane, Fiorenza Barbagallo, Salvo Musumeci e Giovanni Zuccarello ha funzionato con la precisione d’un orologio svizzero e generosamente s’è impegnato ad alleggerire lo smarrimento del pubblico nel tentare di capire quando finiva Trovarsi e quando cominciava Qualcuno.

Assistente alla regia è stata Rita Stivale, le musiche originali sono state composte da Alessandro Cavalieri, gli ottimi costumi di Rosy Bellomia, le scene e le luci sono state curate dalla stessa produzione.

Un consiglio fraterno ai pur bravi amici del Canovaccio, curate un po’ più la dizione, non è difficile e non ci vuole molto per gente che ha talento e passione come voi: il teatro è anche melodia.

Ascoltare attori e attrici impeccabili dicitori come gli speaker della Rai anni sessanta che si misurano con colleghi dalla parlata velata, turba la musicalità della parola e non agevola la fascinazione del pubblico che genera una buona parte degli applausi: la bella parola è erotica e “il dire bene grandi cose è un farle in gran parte” come ci insegnò il Maestro Antonio Gramsci da Ales (Oristano).

 

Foto di Ninni Porto

 

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