“SCUPA” di Guglielmo Ferro al Castello Normanno di Acicastello

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“SCUPA” di Guglielmo Ferro al Castello Normanno di Acicastello

Scupa, nato da un’idea di Guglielmo Ferro e Angelo Scandurra, è un originalissimo racconto a quadri diversi fatto dalle carte da gioco, ciascuno basato su testi originali di Giuseppe Bonaviri, Andrea Camilleri, Ottavio Cappellani, Emilio Isgrò, Micaela Miano, Angelo Scandurra, Gabriella Vergari e Carmen Consoli. Già andato in scena nel 2009, è stato rappresentato dopo dieci anni nell’ adeguatissimo scenario del Castello Normanno incorniciato da cielo, mare e dalla costa puntellata di luci; per due turni di spettacoli dinamici alle 20.30 e alle 21.30, dal 12 al 14 Luglio. Una scrittura corale per una recitazione diversificata, avendo ciascun attore portato di sé un contributo di professionalità ed arte che ai personaggi delle carte da gioco ha conferito una personalizzazione gradita ed indovinata.

 

Un’armonia complessiva, consolidata ed assunta dallo spettatore già al momento di superare il cancello di accesso alla scalinata, alla fine della quale, s’incontrano le scene allestite da Giusy Gizzo (scene e costumi), livelli diversi di ambientazione dove si sono esibiti: il Sette d’Oro (Verdiana Barbagallo, Maria Chiara Pappalardo, Giusi Gizzo, Chiarà Calì, Nicoletta Seminara, Rosella Pagano e Damiano Randazzo),  il Re di Spade (Pasquale Platania), il Due di Spade (Luciano Messina), i quattro Cavalli (Plinio Milazzo), il Tre di Oro (Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Giovanni Maugeri), il Due di Coppe (Gino Astorina); infine, la Donna di Bastoni (Francesca Ferro) e la Donna d’Oro (Lucia Sardo), accompagnate musicalmente dai  Lautari (Gionni Allegra e Puccio Castrogiovanni). Fra profumo di piante e di mare, sotto lo sguardo di una luna quasi piena, al riparo dei profili quieti del castello, gli attori hanno fatto parlare le carte, narrando e cantando di antiche vestigia e di cruenti trascorsi; riflettendo sul Bene e sul Male, ragionando sui comportamenti umani non trovandone una ragione, amaramente ripercorrendo la storia della Trinacria e degli uomini e delle donne che sotto la canicola del suo sole ardente si sono avvicendati in cicli e ricicli molteplici, gioendo, piangendo, sudando e lavorando. 

 

Il gioco delle carte in Sicilia non esisteva, fintanto che gli Arabi, durante la colonizzazione, non lo portarono nell’Italia del sud e in Spagna. Quaranta carte per quattro semi: oro, spade, coppe e bastoni; la numerazione da uno a sette, e poi il l’otto, il nove ed il dieci, sono rispettivamente rappresentati da donna, cavaliere e re. Il numero uno è l’Asso (l’Asu). Si ispirano all’epoca medievale dei Paladini di Francia, come è evidente dagli abiti dei quattro Re; il cavallo assai più somigliante ad un asino, rappresenta l’ingresso dimesso dello Sceicco (da qui, “sceccu”) nella città di Medina e per il cristiano, quello di Gesù a Gerusalemme. L’otto, noto sempre come figura femminile, è in realtà un cadetto, un ufficiale minore con fattezze delicate tipiche dei cavalieri dal “cor gentile” del “dolce stil novo”. Adoperate prevalentemente nella scopa e nel gioco della briscola e  a sette e mezzo, sono state ribattezzate dalle usanze lessicali del volgo: “l’Asu, u caricu, u’ tri, u dui di spadi” e sono state generate intorno frasi tipiche assorbite nelle allegorie comuni: “vacci lisciu, carichici l’asu”, “vali quantu u dui di coppe quannu a’ briscola è a mazze”, “tri oro vinci e tri oro perdi”. Inoltre, si è sviluppata una coreografia precisa fatta di “mosse”, gesti consentiti per comunicare al compagno, senza parlare, una precisa condizione o strategia di gioco. 

       

I simboli delle carte siciliane sono mutuati dalle figure dei tarocchi siciliani, presenti genericamente in Europa sin dall’epoca medievale specialmente per il vezzo diffuso di leggerle perché in esse si credeva fossero contenuti i legami dell’uomo ignaro con la sorte e col destino. Complicato e quasi impossibile risalire al perché di innumerevoli figure: si può forse affermare che esse venissero scelte fra i costumi maggiormente diffusi nella società e si copiassero da icone o quadri. Si narra che, nel trecento, quando il clero decise di mettere al bando i giochi delle carte, queste vennero appunto trasformate in tarocchi, per camuffare il gioco con la cartomanzia, aggiungendo altre figure alle quaranta consuete.

 

Gli attori di Scupa, sono tutti volti noti ed amati che recitano magnificamente condividendo con il pubblico sia spazi che emozioni al punto che,  alla fine di ciascun momento, si è quasi spinti dalla tentazione di andare ad abbracciarli, stringere le mani, esprimere il proprio apprezzamento. Apprezzamento si, perchè si tratta senza rischio di smentita di un eccellente elaborato sostanziato da interpretazioni assai impegnative, ben riuscite e ben coordinate dall’attenta regia di Guglielmo Ferro e aiuto regia di Francesco Maria Attardi che curano anche i flussi degli spettatori accompagnandoli lungo il percorso. Lo spettatore si diverte, esce compiaciuto lasciando il passo al pubblico del turno successivo. Per circa un’ora, il Castello si trasforma in un antico borgo in cui ci si sente sospesi fra tempo ed immaginazione, rapiti  dalla malia di notti estive durante le quali ci si potrebbe sedere a “farsi fare le carte”, appunto.

                     

La messa in scena di Scupa, è stata dedicata al giovanissimo attore Luigi Nigrelli.

Foto di Dino Stornello.

Lo spettacolo, che chiude la terza edizione della rassegna del Teatro Mobile, è patrocinato dal Comune di Acicastello.

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