Una testimonianza catanese di alta umanità

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Una testimonianza catanese di alta umanità

CATANIA – Giovanni Guglielmino, residente a Catania (nativo di Cosenza), 50 anni, vive da sette mesi in una roulotte donatagli dalla famiglia di Francesco Calogero. Prima di aver ricevuto questo sentito dono, viveva in una macchina abbandonata di marca Fiat 127, lasciatagli da un amico. Giovanni è persona con un grave problema di salute: è non vedente al 70 %, malattia che lo ha colpito a seguito di un’ischemia. Il continuo dormire in macchina, che gli aveva provocato una forte trombosi, l’hanno scorso lo ha visto degente in reparto con il signor Francesco Calogero, ricoverato allora con diagnosi di embolia polmonare, rivelatasi poi un tumore al fegato. Ricoverati nella stessa stanza, hanno fatto amicizia. I famigliari di Francesco Calogero, vedendolo coricato con addosso i jeans poiché non aveva nessuno ad accudirlo, gli comprarono subito tutto l’occorrente per il ricovero. Francesco a breve avrebbe compiuto 47 anni, e l’amicizia instaurata con“senzatetto” Giovanni, lo spronò al suo ennesimo gesto di altruismo e di alta umanità, stavolta nei confronti di Giovanni Guglielmino. Francesco Calogero, sottolinea Giovanni, era comunque uomo noto a tutti a Catania e nella Regione Sicilia per la sua generosità. Aveva lavorato per 25 anni alla Telecom in qualità di dipendente. A sentire la storia di vita di Giovanni, Francesco si era subito proposto a regalargli una roulotte, che con la moglie possedeva in campagna. Un gesto di grande solidarietà che a Giovanni ha risolto l’esistenza e la sopravvivenza dell’inverno che quest’anno è stato rigido. Francesco Calogero – a un anno dalla scomparsa, il 24 agosto 2106 – viene ricordato con affetto e riconoscenza dalla persona che il destino volle conoscesse in ospedale quando, non sapendolo ancora, era a un passo dalla morte. Dopo la sua scomparsa i famigliari hanno cercato Giovanni e hanno mantenuto la promessa fattagli da Francesco in ospedale, quando gli mancavano solo pochi giorni di vita ancora.

Giovanni Guglielmino vive ancora senza alcuna risorsa economica, non potendo lavorare per la quasi totale cecità. Non percepisce aiuti né dal Comune né da altre istituzioni pubbliche. Si lava nel lavandino di un bar in Via Aldebaran, per gentile concessione del proprietario, che gli fa usare anche i servizi igienici. Un’altra testimonianza di bontà dei catanesi a cui Giovanni esprime la sua riconoscenza.

Giovanni, ci vuoi dire qualcos’altro su di te e di come conduci la tua vita?

Su questo piazzale c’era un parcheggio dove io facevo il guardiano di notte e tutti quanti mi conoscono e tutti quanti mi danno una mano per mangiare e per comprarmi i medicinali, per sopravvivere. Dalla mattina alla sera sono su quel piazzale e in questo periodo che non c’è nessuno è dura a sopravvivere.

Quale memoria e quale sentimento conservi per Francesco Calogero?

L’ho conosciuto poco ma mi è rimasto dentro. Alcune sere che mi sento a terra parlo con lui e sento che mi ascolta. Quando ci siamo conosciuti per quella strana coincidenza di ricovero ospedaliero mi sembrava da subito di conoscerlo da una vita.

Che tipo di persona era Calogero?

Tutti raccontavano che era un uomo per bene. Io ero pronto a donargli un pezzo di fegato mio per salvargli la vita. Lo sentivo mio fratello.

Come hai saputo della sua scomparsa?

Io sono stato dimesso prima. Lui era stato trasferito al reparto oncologico di Garibaldi. Dopo una settimana che ero uscito dall’ospedale, il 17 agosto, ho scoperto che il 24 era morto. Quando ci siamo conosciuti non è mai capitato di sentire dove abitasse. Una sola volta ho sentito di sfuggita, mentre lo diceva a una persona, che abitava nel palazzo sopra la Tavernetta, ma non ne conoscevo l’ubicazione esatta né il civico. Il giorno in cui è morto era lo stesso giorno in cui io ero andato a trovarlo in ospedale credendolo vivo, volendogli fare una sorpresa. Ci sono andato subito dopo, nonostante i miei gravi problemi di vista, al suo indirizzo di casa, per fare le condoglianze alla famiglia. Non ne conoscevo, ripeto, il numero civico, ma ci sono arrivato come guidato da lui e dalla sua anima. Il portiere mi ha fatto salire e nell’ingresso c’era la sua bara.

Cosa ti senti di dire ai tuoi concittadini di questa tua esperienza di vita e di questa solidarietà umana?

Non ho parole per esprimere gratitudine e riconoscenza per un gesto di tale portata, per un dono che mi ha salvato e continua a salvarmi l’esistenza, fattomi da una persona completamente sconosciuta. Credo che persone come lui debbano essere ricordate come esempio di valori per la società.

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