All’asta gli arredi del San Domenico Palace Hotel di Taormina

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All’asta gli arredi del San Domenico Palace Hotel di Taormina

Sta per andare all’asta giudiziaria una selezione di arredi – dipinti, sculture, mobili, ceramiche, portali, altari, affreschi, bassorilievi – che la Regione Siciliana ha protetto d’autorità come patrimonio di straordinaria importanza culturale. Gli arredi appartengono al San Domenico Palace di Taormina, un hotel di gran lusso che un tempo era un convento. Chi compra all’asta dovrà sottostare al vincolo del “si paga ma non si tocca”, nel senso che l’oggetto acquistato non potrà essere restaurato, né esportato all’estero. La soprintendenza ha anche il diritto di conoscere gli eventuali successivi passaggi di proprietà ecc.

Domando: i potenziali acquirenti terranno veramente conto di tali vincoli? Lo dubito: viviamo nel mondo in cui la “speculazione” non è soltanto quella filosofica.

La notizia che saranno messe in vendita opere di interesse storico, artistico ed iconografico – per lo più riconducibili all’antico convento dei padri predicatori dell’ordine di san Domenico ed alla chiesa annessa – offre occasione per ripercorrere la secolare storia di quell’edificio, che non passa di certo inosservato a chi visita Taormina, posto com’è nella centrale piazza San Domenico.

Questo insediamento monastico risale al 1374, epoca in cui fra’ Girolamo De Luna, nobile taorminese di origine catanese, ottenne di istituire una Casa di predicatori annessa all’antica chiesa di S. Agata (successivamente intitolata a Santa Maria dell’Annunciazione). Nel 1388 i primi monaci ricevettero la ricca dote elargita dall’illustre e facoltoso Damiano Rosso, un uomo potente e ragguardevole (era Alfiere maggiore del Regno su nomina del re Alfonso V d’Aragona) che volle vestire l’abito domenicano e donare ai confratelli l’antico castello medievale che sorgeva attiguo all’insediamento del Di Luna, consentendo la definitiva sistemazione del futuro prestigioso convento e del suo patrimonio, che comprendeva anche bei mobili.

Damiano Rosso per rendere eterne le sue ultime volontà fece testamento il 7 luglio 1430 e poi morì nel 1435. Ovviamente fu seppellito all’interno del convento. Non poteva certo supporre che il suo sonno mortale venisse disturbato dalla legge italiana del 1866, in forza della quale il Demanio prendeva possesso dei beni pertinenti al convento. Lo stato italiano però non riuscì a procedere. Nel 1871, in virtù del citato testamento del 1430, l’intero complesso fu concesso agli eredi di Damiano Rosso: i principi di Cerami che, “come capita anche nelle migliori famiglie”, cominciarono a litigare tra parenti sulla spartizione dell’eredità.

Il mobilio ed i beni artistici contenuti nell’edificio e nella chiesa annessa furono però sottoposti dallo Stato italiano ad una sorta di tutela “ante litteram”. Il principe di Cerami voleva vendere gli stalli del coro ed altre opere di legno intagliato ad un antiquario napoletano, ma gli fu vietato. Allora decise di trasformare l’immobile in un albergo, delizia dell’anima e paradiso dell’ozio. Era il 1896. I quadri più importanti e di grandi dimensioni sparirono (ma il fiuto di Federico Zeri rintracciò in una collezione privata la tavola del pittore romano Orazio Borgianni).

Nell’albergo furono mantenuti gli arredi sacri, per testimoniare e sottolineare la loro pertinenza ecclesiastica e conventuale. Il refettorio fu così trasformato in bar e il magnifico armadio ripostiglio intagliato e scolpito fu utilizzato per conservare nelle bottiglie lo spirito (non santo!).

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