“I’m not a hero” lo spettacolo tra l’eroico e il gretto al Teatro Foce di Lugano

“I’m not a hero” lo spettacolo tra l’eroico e il gretto al Teatro Foce di Lugano

La celebre tesi che riassume l’esistenzialismo filosofico in generale e quello di Jean Paul Sartre in particolare è che “l’Esistenza precede l’Essenza”.

Questa tesi, ripresa originariamente da Essere e Tempo di Martin Heidegger costituisce il cuore dell’ontologia fenomenologica di I am not a hero, spettacolo tra l’eroico e il gretto, rappresentato al Teatro Foce di Lugano l’altra sera e scritto e interpretato a quattro mani da  Faustino Blanchut e Kevin Blaser per la regia di Antoine Zivelonghi.

Detto così sembra una cosa dal taglio cerebrale e invece lo spettacolo è, fin dall’inizio, accattivante, dal lessico ordinario, diremo quasi familiare per l’incuriosito pubblico alle prese con la cortese e affabile accoglienza degli attori che lo invitano a salire proprio sul palcoscenico e a godersi da lì l’intera rappresentazione, a contatto diretto con i quattro elementi (Aria, Acqua, Terra e Fuoco) di cui è composta la materia terrestre.

Con il pubblico disposto in cerchio, con  i corpi degli attori che si schiacciano e si contorcono davanti a loro nell’intreccio di due storie che si sfiorano, si sfuggono e si contaminano  “in una pozzanghera di buone intenzioni che non sempre bastano, ma che non devono indebolirsi di fronte alle sfide che inesorabilmente ci si presentano” come da biglietto di sala.

Gli spettatori sono anch’essi invitati a prender parte alla rappresentazione attraverso veri e propri cambiamenti di scena che lo coinvolgono fino a farsi coprotagonisti dello spettacolo e a inzupparsi con l’acqua/benzina che infiamma le storie e le anime di tutti i presenti.

“Il titolo dello spettacolo – ci ha detto Faustino Blanchut – allude a una scusa dietro la quale ci si nasconde per non esporsi, per non correre il rischio di essere vulnerabili e per giustificare la propria incapacità di uscire da una passività che permette di restare nel comfort e nel calore dell’anonimato” ; mentre Kevin Blaser ci ha spiegato che “Il progetto nasce dall’esigenza di indagare la relazione tra l’eroico ed il gretto, tra l’ideale ed il banale. Dove ci posizioniamo quando le scelte più nobili sembrano già farci cadere in un infinito turbinio di difficoltà? Vale la pena tentare di diventare l’eroe che vorremmo divenire o forse è meglio lasciarlo fare a qualcun altro”?

Ed è proprio qui che si rivela la matrice esistenzialistica dello spettacolo, nel perenne contrasto tra l’essere e l’esistente e nella primazia che l’esistente ha sull’essere.

I due personaggi combattono tra di loro, con i loro corpi, con le loro storie e al tempo stesso, con gli stessi mezzi combattono tra sé medesimi  in un’orgia di tratti semantici che richiamano chiaramente il collasso del linguaggio dove ciascuno sperimenta il vuoto delle parole che assumono per ciascuno dei due nell’accoglierne il senso ch’essi intravvedono, in base al proprio vissuto ch’è sempre differente per ognuno degli appartenenti alla Specie Sapiens.

Persino il termine hero, eroe non è pacifico nel suo significato per entrambi e certo anche per gli spettatori presenti; e qui chiamo a testimone l’immenso Pirandello al quale sono convinto, lo spettacolo sarebbe piaciuto proprio per l’adesione ch’esso ha con i tratti propri del “teatro nel teatro” ch’egli rappresentò per primo più d’un secolo fa.

Secondo il commediografo girgentano il galantuomo ha, ontologicamente, più di valore dell’eroe, il quale può concretizzare il suo eroismo una o più volte nella vita, ma il galantuomo è galantuomo in ogni istante della sua esistenza, proprio come i nostri due eroi che consapevolizzeranno il fatto di non essere affatto eroi (e nemmeno galantuomini).

Laddove Faustino e Kevin in scena – e anche fuori di essa – consapevolizzano il collasso del linguaggio cercano nel corpo, nei loro corpi, una cifra espressiva capace di rendere comprensibile il loro dialogo e le loro storie agli spettatori, attingendo a piene mani agli studi fatti presso l’Accademia Dimitri  di Verscio dove si sono formati.

Alla fine, tuttavia, quando né le parole né i corpi riescono a ricomporre ad unità il messaggio del loro mutuo riconoscimento, le loro lotte, le loro fragilità si arrendono al fatto che “ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi, e ognuno costruisce il suo sistema di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali, scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno”; e continuerà a vivere così com’è, fino a che tutto troverà pace in un mucchio di polvere livida.

Lo spettacolo è prodotto da Cie Fluctus e coproduzione di PREMIO – Premio d’incoraggiamento per le arti sceniche, LAC Lugano Arte e Cultura, le luci sono di Marzio Picchetti, la scenografia e i costumi di Amelia Prazak e la musica di Cedric Blaser.

Lo spettacolo continuerà la sua tournée il 10 maggio al Teatro Dimitri di Verscio (3 repliche).

Foto Sebastiano Piattini

 

 

 

 

Condividilo: