Riccardo Muti e l’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini” al Teatro Antico di Taormina. In programma musiche di Bellini e Schubert

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Riccardo Muti e l’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”  al Teatro Antico di Taormina. In programma musiche di Bellini e Schubert

Imperdibile concerto dopodomani sera, mercoledì 14 luglio, al Teatro Antico di Taormina. Sul podio Riccardo Muti, direttore dalla straordinaria carriera che alla soglia degli 80 anni continua a regalare emozioni con la “sua” Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”.
L’inizio dello spettacolo è fissato alle 21:30. La maestosa Sinfonia di Norma aprirà il concerto e certamente gli applausi saranno soprattutto rivolti al direttore, sommo interprete di partiture belliniane. Il programma proseguirà con la Sinfonia n. 9 in do maggiore D 944 di Franz Schubert, pagina fondamentale del sinfonismo protoromantico.
Il concerto di Taormina costituisce la prestigiosa anteprima del Bellininfest, il cartellone itinerante che la Regione Siciliana promuove da quest’anno nel segno del Cigno catanese, in sinergia con le maggiori istituzioni teatrali e culturali siciliane.
Domattina, in conferenza stampa, il presidente Musumeci e gli assessori riveleranno i dettagli e l’idea che sottende il Bellininfest, sul quale sono puntati gli occhi di tanti.

Il concerto di mercoledì 14 è stato annunciato con il seguente Comunicato stampa:

È trascorso quasi mezzo secolo da quando la storiografia tedesca – in testa Carl Dahlhaus – rilesse la storia di un secolo, quell’Ottocento lungo destinato a infrangersi alle soglie della Prima Guerra mondiale, alla luce di due numi tutelari, Beethoven e Rossini, che ne indirizzarono le sorti in maniera profetica, se non ineludibile. Ma anche da altri, rigogliosi fermenti è connotata la stagione del Romanticismo, in una stratificazione di prospettive destinata a convalidare questa visione, ma al tempo stesso a valicarne i confini. L’anteprima del Bellinifest, per esempio, accosta due pagine che, quasi contestualmente, prendono le distanze proprio dal canone delineato da questi compositori.

Capolavoro indiscusso di Vincenzo Bellini, Norma, al debutto in Scala la sera di Santo Stefano del 1831, s’incarica di acclimatare alla visione neoclassica del librettista, Felice Romani, gli eroici furori della fonte francese – la tragedia omonima di Alexandre Soumet, membro dell’Académie française – stemperandone i toni più esasperati. La Sinfonia dell’opera pare quasi anticipare gli slanci bellicosi dei Druidi, che all’alzarsi del sipario serpeggeranno nella «foresta sacra», dominata da «colli in distanza sparsi di selve», da «lontani fuochi» e soprattutto dalla luna, portatrice di una pace forzosa, forzata epperò da tutti segretamente vagheggiata, nella sfera pubblica come in quella degli affetti privati: il finale in «Maggiore», che subentra al sol minore d’impianto, è un folgorante approdo pacificatorio, subito travolto e sradicato dalla perentoria marzialità del primo tema.

Alla tragedia lirica belliniana Muti affianca l’ultima Sinfonia di Franz Schubert, ultimata nel marzo del 1828 ma tenuta a battesimo postuma solo undici anni più tardi: Robert Schumann l’aveva rinvenuta tra le carte di Ferdinand Schubert, fratello del compositore, e l’aveva sottoposta all’attenzione di Felix Mendelssohn, che con l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia si apprestava a compiere un’attenta opera di riabilitazione dei capolavori della tradizione musicale germanica. Dalle colonne della «ZeitschriftfürMusik», Schumann ne avrebbe sottolineato due elementi di capitale importanza: il definitivo distacco da Beethoven, di cui pure viene esplicitamente citato l’Inno alla gioia nell’ultimo movimento; e soprattutto la «divina lunghezza», definizione che richiama quelle «melodie lunghe, lunghe, lunghe» in cui Giuseppe Verdi coglieva l’elemento forse più pregnante della drammaturgia del Catanese. Per Schubert proprio la lunghezza diventa chiave di volta di una scrittura di straordinaria ampiezza, dall’organico (in cui figurano ben tre tromboni) alle campiture architettoniche (si pensi all’esposizione del primo movimento, per la quale si prescrive il ritornello): ma al contrario di Beethoven, il cui universo era permeato dal contrasto drammatico, qui prevale il principio dello sviluppo ciclico, a partire dal motivo enunciato inizialmente dai due corni, oggetto di inesauribili metamorfosi compositive. E questo richiamo del corno – che vibra «come se frammezzo all’orchestra si muovesse leggero un visitatore celeste», per dirla ancora con Schumann – diventerà l’eco sempre più lontana di una ricerca metafisica, di un viaggio senza meta che tende all’utopia dell’infinito.

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