L’Umanità tra Apollo e Dioniso

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L’Umanità tra Apollo e Dioniso

Apollineo e Dionisiaco sono due concetti fondamentali della filosofia di Frederick Nietsche comparsi per la prima volta nell’ambito di un corso di lezioni sulla tragedia tenuto presso l’Università di Basilea nel 1870. Le due categorie furono approfondite nell’opera La nascita della tragedia (1872) rappresentano i due impulsi essenziali dai quali nacque l’antica tragedia attica, opera artistica altrettanto dionisiaca quanto apollinea.

Tali concetti hanno influenzato significativamente tanto Freud che Jung, ma mentre Freud negava l’evidenza affermando di non aver subito l’influenza del pensiero nietzscheano, Jung dichiarava esplicitamente il suo debito nei confronti dell’autore di Zarathustra dedicandogli costanti esercizi interpretativi e, soprattutto, ponendo al centro dei tipi psicologici la dicotomia tra apollineo e dionisiaco, introdotta nella Nascita della tragedia.

Il dionisiaco deriva dalla forza vitale e dalla caoticità del divenire e si esprime nella creatività della musica. L’apollineo deriva invece da una fuga dall’imprevedibilità degli eventi si esprime nell’armonia dell’arte plastica.

Il dionisiaco costituisce “l’espansione diastolica”, pulsionale e multiforme, dell’esistenza, mentre l’apollineo rappresenta il tentativo razionale di ripristinare nella psiche un ordine unitario.

Eros e Logos convivono permanentemente in noi e ciò viene messo in piena luce dalla feconda dialettica tra malattia e creatività, la quale ci offre un’immagine del dionisiaco come vocazione orgiastica della pulsione vitale quasi sempre dolorosa e lacerante.

Dobbiamo ammettere che la creazione, in generale, di tutto ciò che siamo capaci di fare col nostro essere è sollecitata piuttosto dalla sua malattia che dalla sua salute.

Apollo e Dioniso rappresentano un paradigma dell’esistenza, nel senso che l’uomo è continuamente preso da due polarità, quella del limite in cui tutto è chiaro ed i confini della personalità sono netti; e quella del non limite in cui si è coinvolti nella dimensione dell’ebbrezza che ricongiunge all’unità originaria nata con la scimmia che fummo.

Ci siamo resi conto, pian piano, che l’uomo che ha in sé una spinta incessante: l’uomo proprio per essere tale è incessantemente spinto a una ricerca e i miti greci o di altre culture dipingono l’eroe viaggiatore e parlano tutti di un uomo mosso da un’incessante ricerca, mai completamente soddisfatta.

Il fatto che questa immagine di perenne ricerca si ritrovi dappertutto è indice del fatto che si tratta di una struttura psichica di cui, come uomini, siamo tutti portatori.

Il problema sta proprio nel non rimuovere questa struttura, cioè nel non fare finta che non ci sia, bensì entrarci dentro.

È in atto una grossa polemica per togliere la filosofia delle scuole, sostituendola con altre scienze umane e a tal proposito la verità, sia pure ermeneutica, va detta: la filosofia ha sempre rappresentato un modo di riflettere sulle cose, e il suo strumento formativo non è mai stato di conoscenza, ma relativo a un certo modo di affrontare le cose cui nessuno si può sottrarre, qualunque professione scelga poi nella vita.

Quando diciamo che l’uomo empirico diventa la misura di tutte le cose, se conosciamo la filosofia che esprime tutta la storia dell’uomo, ci accorgiamo della grande lotta che si è sempre svolta tra l’uomo empirico e quello non empirico che propone un’altra realtà di fronte all’esperienza.

Il quotidiano ci aggancia ad una dimensione misera dell’esistenza, mentre l’uomo è tale proprio perché è riuscito a togliere dalle ventiquattrore che servono per sopravvivere un’ora per pensare.

E’ pertanto necessario lottare contro il quotidiano, contro un certo tipo di organizzazione esterna, che purtroppo diventa anche interna, e per la quale tutta la nostra vita viene posposta alla quotidianità dell’esistenza.

Da un punto di vista storico e psicologico, ci troviamo di fronte a un nuovo sapere che ha la caratteristica di rifiutare ciò che non comprende; questo significa che l’uomo può decidere ciò che è sapere e ciò che non lo è, poiché ciò che non viene compreso non appartiene al mondo del conoscere.

E’ l’ulteriore epifania della Hybris che avvelena da sempre la vita degli umani.

A nessuno sfugge il dovere di contrastare questa deriva produttivistica che ci disumanizza e ci avvicina sempre più alle cose.

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