Lo “Sviluppismo” visto dal giovane storico siciliano Antonio Messina

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Lo “Sviluppismo” visto dal giovane storico siciliano Antonio Messina

In tutti gli atenei, all’interno delle ricerche nascono studi e dibattiti settoriali che ci fanno vedere delle situazioni che negli insegnamenti di base magari non si studiano, ma che possano essere determinanti a farci capire i meccanismi della società e della vita in sé.

È stato interessante poter ascoltare il giovane storico mazarese Antonio Messina, già così giovane socio della S.I.S.S.C.O. (Società Italiana per lo studio della Storia contemporanea), fondatore e caporedattore della rivista scientifica  Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee , membro dell’ Istituto Euro Arabo di Studi Superiori di Mazara del Vallo, ultimamente studioso delle storie africane e mediorientali, in merito ad un concetto che nelle società e nei governi statali del ‘900 e persino dei giorni nostri segnò e segna profondamente: lo sviluppismo.

Lo storico Messina ha deciso di rispondere alle seguenti domande, per poter spiegare al meglio “l’incisività” di questo concetto:

Domanda: Dottor Messina ho avuto modo di leggere i suoi scritti, in particolare quello su Anthony James Gregor, ed ho letto molto spesso di un concetto che fa da “padrone”: lo sviluppismo. In grandi linee, come lo definirebbe?

Risposta: Spiegare dettagliatamente che cosa sia lo “sviluppismo” e il dibattito che ne è scaturito richiederebbe molto più dello spazio di quello che qui mi è concesso. Cercando di essere sintetici, direi che lo “sviluppismo” è una tendenza manifestata da partiti e regimi nazionalisti in diverse parti del mondo e che consiste nella volontà di raggiungere, il più rapidamente possibile, lo sviluppo economico/industriale della propria nazione, spesso afflitta da ciò che viene percepito come “ritardo” e/o arretratezza. I paesi che hanno sperimentato regimi sviluppisti sono stati caratterizzati, il più delle volte, da una tardiva unificazione nazionale, da una industrializzazione lenta o disomogenea e da una condizione di dipendenza rispetto alle grandi potenze industrialmente avanzate. Tali nazioni si sono poste come obiettivo prioritario quello di svilupparsi rapidamente e di rompere le catene della dipendenza, colmando il gap con le nazioni più sviluppate. Il professor Gregor, con cui con cui ho avuto la fortuna di collaborare per diversi anni, è stato un accurato studioso dello “sviluppismo” e ha sostenuto che il fascismo italiano – per quanto unico al pari di ogni altro fenomeno storico – è stato il precursore delle dittature sviluppiste che si sono affermate nel ʼ900. Rispetto agli altri paesi europei, l’Italia era infatti giunta tardi all’unificazione nazionale e la sua industria, radicata maggiormente nel nord del paese, era molto lontana dai livelli produttivi dell’industria inglese o tedesca, tanto per citare due esempi. Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Italia rimaneva ancora, sostanzialmente, una nazione agricola.

D: Leggendo Gregor così come altri lavori collegabili a suoi scritti, ho dedotto che il Fascismo italiano avesse svariati punti di contatto con i regimi “nati” dall’Internazionale. Ho dedotto correttamente?

R: Oggi più che in passato, lontani dalle passioni ideologiche che hanno tormentato il secolo scorso, siamo pronti a riconoscere le somiglianze o, meglio, le proprietà condivise tra il fascismo e i regimi rivoluzionari di “sinistra” (stalinismo, maoismo, castrismo eccetera). Erano tutti  regimi in diverso modo e in diversa misura “totalitari”, perché aspiravano al controllo totale della società e dell’economia, ma anche “sviluppisti”, perché approntarono vasti programmi di sviluppo guidati dallo Stato. C’è da dire che lo sviluppismo ha origini molto lontane: ancor prima di Friedrich List, era stato Giuseppe Mazzini, figura classica del Risorgimento italiano, a sollecitare gli italiani a conseguire l’unità e il rapido sviluppo della nazione, rinunciando alla lotta di classe in favore della collaborazione tra operai e imprenditori.

D: Ma chi quello della Giovine Italia e della Repubblica Romana?

R: Si, proprio lui. Mazzini aveva ingaggiato una dura battaglia contro Karl Marx e per anni i due si contesero la leadership della Prima Internazionale. È curioso constatare come il pensiero dei due intellettuali vissuti nell’Ottocento, Mazzini e Marx, si riveli emblematico per comprendere le rivoluzioni del Novecento, tutte condotte all’insegna del mito della classe o della nazione. Mazzini attaccò duramente il socialismo scientifico, spingendo così Marx a redigere la seconda parte del Manifesto del partito comunista, scritto proprio in risposta alle tesi mazziniane. Al materialismo di Marx, Mazzini opponeva il suo spiritualismo e la necessità dell’esistenza delle nazioni.

D: Generalmente per motivi di ricerca s’induce a far viaggi di studio. Ne ha in mente qualcuno per un futuro prossimo?

R: I viaggi costituiscono un aspetto molto importante nella vita di uno studioso o di un ricercatore, perché permettono di acquisire nuovi documenti e informazioni, ma anche di entrare in contatto con gli studiosi che già lavorano sul posto, nonché di conseguire una percezione maggiore dell’oggetto dei propri studi, attraverso il confronto con la cultura locale. Una ricerca interamente condotta da casa, attraverso fonti secondarie, sarebbe niente più che mera erudizione. I miei studi mi hanno condotto nei Paesi Bassi e mi condurranno presto in Africa, a studiare ed approfondire quella che è stata l’ideologia del socialismo africano.

D: Nelle domande precedenti siamo giunti alla conclusione che il Fascismo italiano fu da “apripista” a molti stati extraeuropei nel secondo dopoguerra. A quali movimenti di questi è correlabile?

R: Se si accetta come valida la prospettiva di Gregor, allora ci sono pochi dubbi sul fatto che il fascismo si rivela essere paradigmatico per comprendere le rivoluzioni progressiste che hanno infiammato il Terzo Mondo nell’epoca della decolonizzazione. Non solo le ex colonie dei paesi europei, ma anche quei paesi relegati alla periferia del mondo conobbero, con la decolonizzazione, un sentimento di riscatto e di risveglio nazionale. Uno dei personaggi cardine di questo momento è stato Gamal Abdel Nasser che cercò di rilanciare il ruolo dell’Egitto nel mondo e di ritagliare al paese un ruolo di protagonista nel cerchio arabo, africano e islamico. Il socialismo arabo di Nasser aveva una forte vocazione sviluppista e aspirava a fare dell’Egitto una grande potenza attraverso una serie di iniziative che sono rimaste impresse nella storia: dalla nazionalizzazione del Canale di Suez alla costituzione del «Movimento dei paesi non allineati», cioè  di quei paesi  che non si riconoscevano né con il blocco capitalista (filoccidentale) né con quello comunista (filosovietico).

D: In genere si dice che quando si ha una grande trasformazione politica, ci sia un’importante regia filosofica. Nel caso del Fascismo chi potrebbe essere?

R: Potrei semplicemente rispondere che Giovanni Gentile è stato il filosofo del fascismo, ma una tale affermazione rischierebbe di ampliare, e non di esaurire, la complessità del problema. In più di una occasione il filosofo contemporaneo italiano Emanuele Severino, per esempio, ha affermato che “non era Gentile a essere fascista, ma il fascismo a tentar di essere gentiliano”. Invero molti fascisti, durante il Ventennio, espressero una forte posizione antigentiliana, come ha evidenziato la storica Alessandra Tarquini nei suoi studi. La verità è che Gentile aveva già articolato i fondamenti teoretici della sua filosofia prima ancora che Mussolini desse vita al fascismo e cercò, per tutta la durata del regime, di plasmare il fascismo, la sua ideologia e la sua cultura politica attraverso l’attualismo. Gentile stesso si definì un precursore del fascismo e ricoprì così tanti incarichi da consentirgli di egemonizzare la cultura italiana del periodo. Ma Gentile portò avanti una propria visione del fascismo che lo portò ad entrare in contrasto con i vertici del PNF, al punto che il suo ruolo iniziò a calare costantemente all’indomani del Concordato con la Chiesa (1929), sino a quando il punto di riferimento degli intellettuali fascisti non divenne Giuseppe Bottai.

D: Ammetto che questa chiacchierata è stata entusiasmante. È chiaro che il Gregor “autore” lo leggeremo anche negli anni a venire in tantissimi e ci faremo una “nostra” idea, ma lei come i “pochi” che l’hanno vissuto ha conosciuto il Gregor “persona”. Come si è trovato con lui durante la sua esperienza?

R: Qualsiasi giudizio io possa dare su Gregor, sulla sua persona e sulla sua umanità, sarebbe riduttivo e non riuscirebbe nell’intento di rappresentarne degnamente la figura. Io mi accostai a lui nel 2012, appena dopo aver terminato la lettura di un suo libro, che aveva lasciato in me delle profonde suggestioni. Mi trovai ad intraprendere una lunga corrispondenza con un uomo che, all’apice della sua carriera e della sua fama, non ha mai lasciato trasparire alcuna arroganza o supponenza. La sua umiltà mi ha spinto a intensificare i nostri rapporti. Mi trattava come se fossi un veterano del mestiere, spronandomi a proseguire nelle mie ricerche e nei miei studi. Il suo impulso è stato decisivo nel prosieguo della mia carriera accademica.

D: La volevo ringraziare per la conversazione da cui ho imparato moltissimo.

R: Anch’io la ringrazio e non mi resta che dirle: alla prossima!

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