La melassa del giullare di Stato

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La melassa del giullare di Stato

Le parole, le immagini partorite dalla testa di Roberto Benigni si adeguano quasi placidamente, in apparenza in modo involontario, al buon senso comune, a quel conformismo civile intriso di nuovi dispositivi retorici propri del Consenso Molle, così persuasivi da circuire e affascinare con agghiacciante unanimità.

Negli anni in cui le forze politiche esautoravano con provvedimenti eversivi la Costituzione, il nostro menestrello – sempre attento a non far male al Re – la celebrava in diretta televisiva.

Ma la sua lirica contribuiva a renderla opera letteraria, un testo non più politicamente sostanziale bensì da consegnare al passato.

La “più bella del mondo” – così fu definita – si poteva considerare un guscio vuoto, slegata da rapporti sociali ed economici da regolare, non più congeniale per affrontare la modernità. Simulacro da adorare in preghiera per inserirlo negli interstizi della tradizione superstiziosa.

Una Bibbia laica da non interpretare alla lettera.

Le belle persone che compongono la buona società civile celebrano compulsivamente la sua dedizione da anni. Fino a consegnargli inopinatamente un Leone d’Oro alla carriera, a lui!, che fece liberare Auschwitz (liberata dai russi) dagli americani, in una ricostruzione storica degna di Paolo Mieli.

Non pago il nostro cantore comodo si lancia, durante i sentiti ringraziamenti di prammatica, in un’ode dal vago sapore pedagogico. L’amore, l’arte, la profondità umana è declinabile solo al femminile.

Il tono è accuratamente paternalistico, l’ipocrisia si rende ammaliante.

La scena è conquistata dal luogo comune più in voga nella società dei mercati: il femminile è ciò che tutto abbraccia e l’amata ha un grande merito. Lo ha migliorato fino a trasformarlo sostanzialmente in donna. Il premio vale doppio.

Il femminile così diventa l’arma affilata di chi crede in una società pacificata e senza contraddizioni.

Il femminile è amore universale e le donne un esercito omogeneo, tutte indistintamente portatrici della medesima sensibilità. Non esistono donne ricche e donne povere o meglio forse sì esistono, ma collaborano senza conflitti.

Tutte “emanano luce” e “donano ali” a maschi di per sé gretti, indegni, arretrati.

Tanto ammantata di chiarore la donna dei nostri tempi da diventare di porcellana, angelicamente votata ai buoni gesti ma contemporaneamente determinata, consapevole, sempre affrancata dalla sana performance.

La robotizzazione femminile interclassista rappresenta uno dei temi fondanti dell’ideologia della concorrenza neocapitalistica.

La pratica femminile, soprattutto quella manageriale e di successo, è eticamente superiore e il più bieco sfruttamento di classe viene trasformato in gentilezza umanitaria, in sorellanza amicale.

In questo contesto culturale anche la maternità diventa una sfida da portare a casa. Una delle innumerevoli esperienze personali che arricchiscono, quanto un viaggio esotico o una filosofia orientale a caso.

Il piedistallo di Benigni insomma si poggia su basi solide.

Non sbaglia un colpo. Trova sempre con proverbiale accuratezza l’argomento anestetizzante per antonomasia.

Caro Roberto, ci sono pure gli apoti e sono più di quanto tu possa credere.

 

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