Intervista a Ligama, l’artista che dipinge i suoni e colora il panorama

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Ligama, POSEIDON, 2019, Catania (foto di Carla Licari)

L’intervento artistico di Ligama fa suonare una sveglia nella testa.

Dai murales più imponenti alle tele dipinte, emerge immediatamente come l’intuizione dell’arte può sposare la tecnica più moderna non rinunciando alle sue aspirazioni universali di comunicare, e questo non sfugge a chi osserva.

La pittura che dona un senso nuovo alle cose in disuso, come i ruderi di campagna, i suoni che diventano colore, la tecnologia che filtra e rielabora la realtà affidandogli un messaggio e restituendole attualità. Il progetto ULM (Uncommisioned Landscape Manipulation) è un lavoro illuminante per conoscere la sua produzione artistica. Se lo scopo è la riappropriazione del territorio per creare nuove relazioni con chi guarda, il mezzo è anch’esso messaggio, come ci insegna McLuhan. Il lavoro prende vita grazie a  «codici colore elaborati in co-creazione con un algoritmo di intelligenza artificiale che traduce dati scientifici di sequenze sonore raccolti ed elabora una nuova teoria del colore [1]».

I suoni tradotti in codici cromatici sono una delle cifre stilistiche ricorrenti nella sua arte, così come lo è l’ironia sottile, legata a doppio filo alle sue origini geografiche. Ma i suoi lavori sono stati esposti e creati ben oltre i confini della Sicilia, basti citare Napoli, Teano, Caserta, Perugia, Roma, Torino, Milano, Budapest, Bucarest e Norilsk in Russia.

Un talento il suo, che non manca di suggestioni spirituali, non solo nei soggetti rappresentati (un esempio su tutti: il murales “La Provvidenza” dipinto a Catania nel quartiere San Cristoforo) ma anche nelle riflessioni sull’uomo e sulla sua esistenza a cui si è esposti attraverso le forme geometriche attentamente studiate e i pixel che frammentano le immagini. Tale frammentazione non è tuttavia sinonimo di distruzione, quanto piuttosto del suo contrario. È un’analisi ingrandita del reale che si rivela man mano che ci si allontana o attraverso il filtro di un obiettivo digitale. L’accostamento a figure dipinte come trompe l’oeil amplifica la sensazione di contrasto tra immagine reale e riproduzione virtuale, e invita a spingere la riflessione un passo più in là del primo impatto.

L’intervista

Il tuo nome viene solitamente accostato alla street art, ma la tua arte spazia dalla tela ai ruderi di campagna, dallo “spray su marmo” alle installazioni fatte con buste postali stampate artigianalmente. Durante il processo creativo, assegni priorità ai materiali scelti e a come si sposano tra loro o prevale l’urgenza del messaggio da comunicare, a prescindere dalla tecnica?

Non amo la settorializzazione dell’arte; i supporti, così come i materiali sono solo dei mezzi per raggiungere lo scopo che è l’opera. Nel processo creativo do la priorità al messaggio ovviamente, alla comunicazione della mia idea.

C’è stato un momento nel quale hai capito che la tua passione sarebbe diventata la tua occupazione principale?

In realtà è stato sempre nei miei pensieri, ma un po’ come il desiderio che hanno quasi tutti i ragazzini di fare il calciatore. Durante un periodo piuttosto difficile della mia vita ho realizzato che dipingere era l’unica cosa che mi dava sollievo e che mi avrebbe aiutato a sopravvivere a alle sfide che la vita mi avrebbe preservato. Ho iniziato a considerare questa urgenza intima come un vero e proprio lavoro solo da un paio d’anni, ma non c’è stato un momento particolare in cui ho realizzato, piuttosto una maturazione e materializzazione progressiva e sempre più lampante. Ancora oggi esito a rispondere che faccio l’artista.

Dagli inizi della tua carriera ad oggi, diresti che è cambiato qualcosa nella percezione che il pubblico ha del tuo lavoro?

Sinceramente non ne ho idea di come è cambiata la percezione del mio lavoro, cioè se la gente ha cambiato il modo di vedere i miei lavori, piuttosto mi rendo conto quotidianamente di quanto aumentino la fruizione e le interazioni con il pubblico.

Hai dichiarato di avere in progetto per il 2020 la produzione di una carta da parati modulabile, in collaborazione con una curatrice d’interni. Ci confermi che potremmo presto avere un po’ di Ligama nelle nostre case?

Sì sì assolutamente. Ho incontrato per caso Margherita (che sarà la curatrice di questo progetto) e passo dopo passo abbiamo creato questa linea di interni che cerca di stravolgere la ripetitività della normale carta da parati, in modo tale da riempire uno spazio interno stravolgendo un po’ la percezione stessa del modulo, attraverso pattern e forme traslati e sovrapposti che si completano nella continuità delle pareti.

Cosa diresti ad un/una giovane che sta per farsi convincere da chi dice che con l’arte e con la cultura non si mangia?

Direi di mandarlo a fanculo.

 

[1] https://www.ligama.it/, sezione ULM.

 

Ligama, WAITING FOR ANGELICA, 2015, Acrilico su legno, 100×140 cm (foto di ligama.it)

 

Ligama, ALL YOU NEED IS LOVE, 2016, Catania, San Berillo (foto di ligama.it)
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