Incendi nelle baraccopoli a Catania – Il “peso” delle parole

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Incendi nelle baraccopoli a Catania – Il “peso” delle parole

«Le parole sono importanti!» gridava Nanni Moretti in “Palombella Rossa” e quanto aveva ragione. Ce ne accorgiamo soprattutto oggi che grazie ai social network tutti hanno acquisito la possibilità di condividere e amplificare il proprio pensiero; ma qual è il confine tra la libertà di espressione e l’istigazione all’odio? Quando si può ancora parlare di diritto di manifestare la propria opinione e quando, invece, si sconfina in deliri di aggressività che non sono utili allo scambio e alla comunicazione tra pari, ma ledono semplicemente la dignità delle persone e i diritti umani?

I social network sono strumenti potenti di divulgazione del pensiero e anche di propaganda politica e ideologica, per questo ne andrebbe regolato l’uso seguendo il criterio del rispetto e del buon senso.

E’ di questi giorni la notizia dei terribili incendi che hanno devastato due baraccopoli della città, certamente serbatoi di degrado urbano, ma purtroppo anche luoghi che per qualcuno, i più deboli e i più fragili tra noi, rappresentavano casa.

Tralascio  in questa sede ogni considerazione, già ripetutamente fatta, sulla situazione abitativa a Catania, sulle condizioni in cui versano le fasce deboli della popolazione, catanesi e non, sulla situazione dei campi Rom ecc ecc.

Ciò che mi ha letteralmente scioccata in questa particolare circostanza è stata la tremenda reazione dei catanesi, proprio sui social network, dove è stato un insopportabile susseguirsi di commenti razzisti, che tradiscono una violenza e un’aggressività che sinceramente non mi aspettavo dalla nostra città, da sempre accogliente e tollerante nei confronti di tutti e soprattutto di quegli stranieri che arrivano qui alla disperata ricerca di un futuro che poi, troppo spesso, si risolve nella tragica scoperta che quella speranza in realtà non c’è. Esiste invece solo la vita di strada, il degrado, l’abbandono e a volte anche la morte.

E’ facile il paragone con l’ultimo incendio che ha strappato in modo atroce alla vita un rumeno, senza dimora che si era rifugiato in un locale abbandonato all’interno della villa Bellini, e ancora l’incendio che nel 2014 devastò la baraccopoli di Corso dei Martiri, dove avevano trovato rifugio una serie di famiglie dell’est europeo, e ancora indietro nel tempo, nel 2011, quando un altro incendio uccise Giovanni, senza dimora, questa volta italiano, che dormiva in un gabbiotto abbandonato di un benzinaio in Via Ventimiglia. Protagonista di tutti questi episodi il fuoco, quasi come elemento purificatore da tutto quello che consideriamo brutto e indesiderabile nella nostra città. Non è ancora chiaro se gli incendi siano stati provocati o siano scoppiati spontaneamente, ma ciò su cui è obbligatorio fare una riflessione è con quale modalità ha reagito la più parte delle persone che hanno deciso di palesare sui social il proprio pensiero in merito a queste drammatiche notizie. La più grande preoccupazione, una volta avuta la certezza che, per fortuna, nessuno ha perso la vita in questi due incendi scoppiati a brevissima distanza l’uno dall’altro e che hanno interessato due luoghi fatiscenti della nostra città, deve essere quella a questo punto di capire che cosa ne sarà di noi, del nostro senso civico, della nostra sensibilità, della nostra umanità e quali effetti ha sugli animi della gente la troppo facile divulgazione di opinioni intolleranti e rabbiose nei confronti di quella o quell’altra categoria di persone, una volta saranno i rom, poi gli immigrati, gli omosessuali ecc, in un crescendo intollerabile di insofferenza e fanatismo, in uno sfogo delirante sugli altri di quelli che in realtà sono malesseri e disagi provocati da problematiche più profonde e complesse di cui queste persone fanno solamente da parafulmine.

La tentazione che fare una riflessione importante sulla natura della comunicazione sui social e sul linguaggio utilizzato dai loro fruitori sia inutile o eccessivo, svanisce solo ricordando cosa ha significato la propaganda fatta attraverso le radio studiata da Goebbels nella Germania nazista. La radio divenne il principale media di propaganda dell’odio verso gli ebrei. La funzione della radio era sicuramente più virale rispetto a quella del cinema e della stampa, o come nel 1994 fu sempre la radio in Ruanda a fomentare l’odio, lo speaker Kantano ripeteva in continuazione che si dovevano «seviziare e sterminare gli scarafaggi tutsi» con il risultato che in 100 giorni furono un milione le persone massacrate, perlopiù a colpi di machete.

E’ lecito pensare che dietro questi apparentemente sfoghi personali di tante, troppe, singole persone, ci siano gruppi ideologici che, una volta scoperte le enormi potenzialità dei social come strumenti di manipolazione del pensiero comune, stiano con grande perizia e tenacia, divulgando odio e avversione nei confronti di determinate categorie, che storicamente ne sono sempre state vittime e bersaglio.

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