Improvvisamente l’estate scorsa, grande successo di Buio in Sala, con Ketty Governali e Chiara Tron

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Improvvisamente l’estate scorsa, grande successo di Buio in Sala, con Ketty Governali e Chiara Tron

“Improvvisamente l’estate scorsa” di Tennessee Williams diretto da Massimo Giustolisi e Giuseppe Bisicchia per il cartellone “Sguardi” ha concluso la stagione 2022/2023 della Compagnia “Buio in Sala”. Sul palco della sala “Spazio Bis” nei locali della sede di formazione e produzione teatrale all’interno dell’Istituto Leonardo Da Vinci, gli attori Ketty Governali (Violet Venable), Chiara Tron (Catharine Holly), Daniele Virzì (Dott. John Cukrowicz), Silvana D’Anca (Suor Felicity), Giovanna Sesto (Signora Holly), Andrea Luvarà (George Holly), Daniele Caruso (Sebastian) e Maria Rita Di Mauro (Miss Foxhill). Costumi di Rosa Bellomia; scenografia di Martina Ciresi e Stefano Privitera. Foto di Dino Stornello.

Venne scritto per il teatro nel 1958 da Tennesse Williams, ambientato nella New Orléans del 1936, giunto in Italia nel 1990 con la traduzione di Masolino D’Amico (traduttore e storico teatrale, figlio di Susi Cecchi D’Amico e nipote di Silvio D’Amico).

Tennesse Williams, prolifico drammaturgo, resterà immortale nella memoria per capolavori che hanno segnato tanto il teatro quanto il cinema: Lo zoo di vetro, Un tram Chiamato desiderio, La gatta sul tetto che scotta, La rosa tatuata, Improvvisamente l’estate scorsa, La dolce ala della giovinezza. Tutti lavori in cui lo scrittore è riuscito a raccontare personaggi della vita reale dall’angolazione del “non detto”, sciogliendo riserve su aspetti che mal si allineavano alle caratteristiche stabilite dallo star system americano e comunque della letteratura mondiale. Allontanandosi dai costumi di venerazione sia verso la figura materna che verso il maschio tradizionale che mostrando i muscoli si afferma con forza e virilità, non farà altro che raccontare gli strati sotterranei della psiche taciuta, quella sbavata del difetto.

 

La vita di Tennesse Williams è stata segnata dalla sorte disgraziata toccata alla sorella Rose: diagnosticatale una schizofrenia, venne chiusa in un ospedale psichiatrico e sottoposta a lobotomia, intervento che la ridusse impietosamente ad un vegetale. Il dolore per l’amaro destino della sorella, unitamente alla paura che i suoi momenti di depressione potessero essere scambiati per patologie incurabili lo angosciarono per tutta la sua esistenza.

Nel 1959, Montgomery Clift, presterà il volto al dott. John Cukrowicz, il medico psichiatra che piuttosto che i propri interessi, presterà maggiore attenzione allo stato di salute reale della giovane Catharine Holly (Elisabeth Taylor), intuendo il disperato e spietato tentativo di Mrs Violet Venable (Katharine Herpburn) a rendere come mistero glorioso la vita del figlio Sebastian. Montgomery Clift, col volto ricostruito dopo l’incidente d’auto (1956), renderà una recitazione straordinaria generando una complicità emotiva con Elisabeth Taylor. L’attore purtroppo incline all’alcolismo in cui si rifugiava per sconfiggere i suoi demoni, era stato affidato ad uno pschiatra che, si narra, non avesse fatto altro che nei lunghi anni di analisi aggravare le sue sottili resistenze alla vita. Dunque, e forse anche perciò, la resa fu straordinaria, in una narrativa crescente che lo scrittore aveva stabilito sperimentando su di sé la paura dell’ignoto. Quelli erano anni in cui non solo parlare di omosessualità era oltremodo “esotico”, ma affermare che la mente potesse patire disagi che sfuggivano al controllo umano autorizzava solo lo sbrigativo ricovero in strutture in cui venirne fuori era difficile e restava spazio solo per il macabro gioco fra vittime e carnefici.

Tennesse Williams, insofferente alla falsità sociale, dunque, collocherà in questo clima e qualche anno dopo la morte del compagno (e segretario) la stesura del dramma in cui riuscirà a esprimere inquietudini, dipendenze, ruoli familiari e biechi interessi economici in un dramma perfetto, un cerchio all’interno del quale su un palcoscenico breve, si esprimerà tutta la profondità della vita, che sotto la facciata della primordiale paura di essere scoperti, compone un muro articolato ed ordinato di menzogne. Cultore e studioso osservante del modello della tragedia greca, conferisce al dramma un insieme di precisi e sintomatici riferimenti alle forze della Natura, che con regole a volte inesorabili, sempre fa affiorare la verità. Dipingerà un personaggio maschile vittima di un amore platonico espresso con troppo ingombro da una madre possessiva, e carnefice al tempo stesso perché riesce a piegare il prossimo ai suoi piaceri ed egoismi.

Un lavoro complesso per le innumerevoli sfumature psicologiche e dunque una sfida difficile per registi ed attori, scenografo e costumista. Ma soprattutto per le due attrici nei ruoli principali, responsabili non soltanto di esprimere verbalmente e fisicamente il dramma, ma di sostenere timbri e frequenze diversi il dibattito delle ragioni dell’una e dell’altra rispetto alla morte di Sebastian.

Ketty Governali è mrs. Violet Venable, la madre assorbita totalmente dal figlio Sebastian, anche a discapito del marito che aveva lasciato morire da solo. Ella parte ogni anno con lui, trascorrendo i mesi estivi in giro per il mondo, visitando località incantevoli e frequentando ambienti esclusivi dove tutti li riconoscono non come madre e figlio, bensì come “Violet e Sebastian, Sebastian e Violet“. Il figlio non ha occupazione al di là della propria stessa vita che traduce in poesia. L’attrice catanese, affatto nuova ai ruoli drammatici (il suo corto “Angelo” nel 2017 ha conquistato premi nazionali ed internazionali e la sua interpretazione di Adelina, la domestica di Montalbano, resta unica ed insostituibile), padroneggia con sicurezza il doloroso e lungo evolversi della ferrea posizione contro la nipote acquisita: il gioco mimico del viso è talmente autentico ed in continuo movimento che la preparazione al personaggio deve esserle costata parecchio in termini di compenetrazione. Il personaggio della madre che vuole sopravvivere al vuoto lasciato dal figlio sconfiggendo ogni illazione su di lui possa essere elevata, è dall’attrice perfettamente assimilato e lo si può evincere da ogni gesto del corpo al quale riesce a far portare con dignità lo smarrimento ed il ricordo, avanzando in mezzo agli estranei parenti col disprezzo e il compiacimento pietoso verso chi non può comprendere.

Chiara Tron è Catharine Holly, sottile, bella e spensierata che commetterà l’imprudenza di accompagnare il cugino Sebastian l’anno in cui la madre, avendo accusato un piccolo ictus, rifugge i suoi standard di bellezza. “Improvvisamente”, durante quel viaggio accade qualcosa di talmente grave da causare alla giovane un male inspiegabile, soprattutto perché nessuno ha interesse a crederle. Chiara Tron (che di recente si è distinta per la magnifica caratterizzazione della fotografa in “Viola come il mare”) presta, al secondo personaggio femminile a cui Williams si era dedicato con una dovizia da cesellatore, tutta la gioventù del suo corpo e l’interpretazione di un’attrice d’esperienza. Chiara riesce ad essere giovane e acerba, improvvisamente cresciuta perché risucchiata da una prova tremenda: anche lei deve entrare ed uscire divincolandosi all’interno di un personaggio che è costretto a mantenere alta la guardia; e lo fa senza pause, facendosi assorbire dagli innumerevoli registri del suo personaggio. Una gioia osservarla.

Daniele Virzì interpreta lo pschiatra, dr. John Cukrowicz, che pur essendo attirato dalla promessa di Mrs. Venable di finanziare un’ala dell’ospedale psichiatrico in cui egli lavora e che vorrebbe affermare, si sofferma piuttosto sugli aspetti e sui legami che interrogando la giovane Holly, gli appaiono evidenti e responsabili di una spiegazione diversa della tragedia. Daniele Virzì (anch’egli reduce dal successo di Viola come il mare) è un attore che definisco “composto”, ovvero sempre ordinatamente collocato nel personaggio: non si sbraccia, non esagera. Anche in questo ruolo a cui riesce a prestare il suo naturale riserbo, contribuendo con maggiore enfasi in quegli istanti in cui è richiamato dal proprio dovere deontologico a seguire la verità. Bravo.

Daniele Caruso è Sebastian, il suo ricordo, l’incanto bianco che danza e volteggia dietro le finestre, quelle che si affacciano sul giardino in cui coesistono piante di tutto il mondo, belle, strane, aggressive. La scelta dei registi Giustolisi e Bisicchia di rendere presente nell’evanescenza la figura dell’uomo è davvero interessante, carica di una magia che lo spettatore rapito tenta di raggiungere fisicamente assumendo la consapevolezza della sua inconsistenza. E Daniele Caruso riesce ad essere impalpabile, etereo a prodursi in una danza che sembra davvero arrivare da lontano: bravissimo, magico.

Silvana D’Anca, Maria Rita Di Mauro, Andrea Luvarà e Giovanna Sesto rivestono i ruoli altri della vicenda: va riconosciuto a tutti il pregio di aver saputo riempire con le proprie interpretazioni esattamente gli spazi loro assegnati assumendo perfettamente la consapevolezza dell’importanza del collegamento con gli altri personaggi.

Gli abiti di Rosa Bellomia sono eleganti, rispettano le linee dell’epoca ed esaltano il portamento di ciascun attore e le caratteristiche dei personaggi, scandendo quell’accento in più.

Gli allestimenti scenografici a cura di Martina Ciresi e Stefano Privitera meritano una menzione speciale: sebbene il palcoscenico dello Spazio al Leonardo da Vinci non sia molto ampio, sono stati capaci di amplificarlo dando esattamente l’idea della sala che si affaccia sull’eccentrico giardino di Sebastian, disponendo al centro di esso la poltrona da stanca regina che ormai appartiene alla madre Violet. Le vetrate, le grandi finestre come schermi affacciati su un’altra dimensione, quella dove ancora danza ed aleggia lo spirito dell’ambiguo giovane.

Giuseppe Bisicchia e Massimo Giustolisi, scommettendo su un’impresa difficile, possono essere considerati vittoriosi, anche grazie ad una regia illuminata e ricca di guizzi geniali (come è nelle loro corde da sempre), scegliendo la squadra ideale e conferendo a ciascun attore un margine di manovra che viene riconosciuto soltanto in un rapporto di assoluta fiducia.

Attori, registi, scenografi, costumista, tecnici, nessuno ha seppur per pochi istanti perduto il ritmo, dando straordinariamente vita ad un dramma indimenticabile della storia teatrale di ogni tempo.

 

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