Immigrati, diagnosi al porto

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Immigrati, diagnosi al porto

E’ stato presentato il progetto “Diagnosi in banchina”, volto alla gestione della profilassi sanitaria degli sbarchi. Procedura concepita per la prima volta al mondo a Catania e che nella città etnea vede uno dei principali teatri di attuazione, grazie all’efficente coordinamento e collaborazione tra le Istituzioni competenti, quali l’Arnas Garibaldi, la Prefettura, la Croce Rossa Italiana, l’Ufficio di sanità marittima e di frontiera del Ministero della salute nonché l’azienda sanitaria provinciale. Un’iniziativa esposta e approfondita questa mattina dagli attori coinvolti, con gli interventi del Prefetto di Catania, Maria Guia Federico, del vicesindaco di Catania, Marco Consoli, del Direttore dell’Usmaf di Catania, Mario Germagnoli, del responsabile delle emergenze sanitarie per il Ministero della Salute, Claudio Pulvirenti, del direttore generale dell’Asp etneo, Giuseppe Giammanco e del direttore generale dell’Arnas Garibaldi, Giorgio Santonocito.

Il fenomeno recente degli eventi migratori in entrata da Paesi in via di sviluppo o da aree sede di conflitti bellici ha comportato inevitabili conseguenze sul piano sanitario. Ecco perché la tempistica della diagnosi delle malattie infettive assume un aspetto fondamentale, fin dal momento dello sbarco, tramite l’immediato intervento del personale medico e infermieristico sulla banchina del porto, attraverso visite di carattere generale e la somministrazione di uno specifico questionario composto da quesiti epidemiologici e clinici, al fine di individuare lo stato di salute dei migranti e, nell’eventualità, attivare la macchina dei soccorsi.

«Il migrante che arriva in banchina dagli sbarchi – spiega Giorgio Santonocito – non sa di avere la tubercolosi o non lo dichiara, così diventa una minaccia per se stesso e soprattutto per chi gli sta intorno. Pensate a cosa succederebbe se questo paziente entrasse al pronto soccorso senza che si sappia che è portatore di Tbc, o se salisse sull’autobus per raggiungere i centri di raccolta, con persone e bambini a rischio infezione».

Si tratta di un progetto pilota unico al mondo, studiato dal professore Bruno Cacopardo, infettivologo in servizio all’ospedale di Nesima, e dalla dottoressa Diana Cinà, direttore del reparto di Patologia clinica del Garibaldi-Centro, in stretta collaborazione con l’Usmaf, e che ha riscosso molta attenzione a livello ministeriale, europeo e dell’organizzazione mondiale della sanità.

«Sulla banchina – ha continuato Claudio Pulvirenti – verrà somministrato un test ai migranti per capire se sono esposti a rischio. Alla presenza di febbre e di una serie di altri parametri, entra in gioco il Garibaldi, tramite un sistema di diagnosi rapidissimo, per valutare l’effettiva esistenza del rischio che il soggetto sia portatore di Tbc o di alte patologie infettive».

Una procedura ormai consolidata a Catania, quella della gestione dei flussi migratori, tanto da ritenersi giunta a livelli ottimali di funzionamento, come rilevato da tutti i presenti all’incontro.

«Grazie alla collaborazione tecnica e istituzionale delle parti – osserva il Prefetto Maria Guia Federico – la città ha raggiunto alti parametri di efficienza per quello che non rappresenta più uno stato di emergenza, bensì una condizione migratoria ormai endemica e consolidata».

Grandissimo orgoglio è stato manifestato dal vicesindaco Marco Consoli: «Catania ha dimostrato di essere una città modello per l’Italia e per l’Europa nella gestione di flussi  migratori e di problematiche sociali, non solo nell’opera di salvataggio, ma anche nella tutela della salute dei migranti e dei cittadini catanesi. Un’iniziativa che ha attirato l’attenzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e che potrebbe replicarsi in altre zone calde del Mediterraneo coinvolte negli sbarchi».

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