GLI ANTEFATTI E LE TAPPE DELLA CONQUISTA NORMANNA DELLA SICILIA

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GLI ANTEFATTI E LE TAPPE DELLA CONQUISTA NORMANNA DELLA SICILIA

di Santi Maria Randazzo

Quello che Michele Amari definisce il “Colpo di Stato“ di al-Akhal, consumato tra il 1031 ed il 1035 può essere considerato l’innesco della disfatta degli Arabi in Sicilia: costringendo i siciliani a pagare il doppio harag ( ossia la doppia decima al posto del dazio fisso ) fece scoppiare la guerra civile in Sicilia, ed incalzato da Abù Hafs fu costretto a chiedere l’aiuto dei Bizantini nel tentativo di evitare di essere deposto ed ucciso. Nel maggio 1035 Giorgio Probata, negoziatore per conto dei Bizantini tornava a Costantinopoli dopo aver ottenuto da al-Akhal la sottomissione all’Impero d’Oriente che, in cambio dell’accettato vassallaggio, gli conferì il titolo di Maestro, equivalente al riconoscimento che l’Impero d’Oriente faceva ai Capi di Stato amici.(1) L’accordo concluso da al-Akahl spinse i ribelli di Abù Hafs a chiede l’intervento di al-Mu’izz ibn Badis che mando truppe in Sicilia, tremila cavalieri e tremila fanti, al comando del proprio figlio Abd Allah, che tosto iniziò a portare la guerra ad al-Akhal riportando numerosi successi. Il primo concreto aiuto che i Bizantini portarono ad al-Akhal, in attesa che l’esercito capitanato da Giorgio Maniace sbarcasse in Sicilia, fu costituito dallo sbarco a Messina, proveniente dalla Calabria, di un esercito bizantino capitanato da Leone Opo che dopo aver conseguito alcune vittorie ed aver liberato quindicimila cristiani che furono portati in Calabria, ritornò con l’esercito in Calabria per non soccombere alle soverchianti forze avversarie che, nel frattempo, si erano radunate. Il ritiro di Leone Opo fece prevalere gli Arabi avversari di al-Akhal che, dopo averlo costretto ad asserragliarsi perché assediato, lo sconfissero e dopo averlo ucciso, portarono la sua testa ad Abd Allah che divenne, così, signore di tutta la Sicilia. L’anno appresso, però, nel 1038 l’esercito bizantino comandato da Giorgio Maniace e dal patrizio Michele Doceano, esercito ove erano inseriti i Varangi comandati dal Re Harald ed i Longobardi, rinforzato da mercenari Russi, Scandinavi, Italiani di Puglia e Calabria, una compagnia di ventura di circa cinquecento cavalieri Italiani e Normanni, sostituito nel comando Leone Opo, dopo aver concentrato l’esercito a Reggio, passarono lo stretto di Messina iniziando l’invasione che, nei progetti i Costantinopoli, doveva concludersi con la riconquista della Sicilia. Dopo aver conquistato Messina ed aver espugnato Rametta dove si era concentrato il grosso dell’esercito musulmano, nell’arco di due anni l’esercito bizantino guidato da Giorgio Maniace aveva conquistato più di tredici tra città e castella. Entro l’anno 1040 Maniace aveva riconquistato tutta la Sicilia orientale e quasi tutto il centro dell’isola, ricacciando gli Arabi nella parte occidentale dell’isola. In conseguenza della disattenzione di Stefano, comandante della flotta bizantina, ‘Abd Allah era, però, riuscito a ritornare a Palermo ove si era riorganizzato per riprendere la guerra che stava per essere vinta. A causa di questo evento che rischiava di vanificare la campagna militare dei Bizantini, Maniace redarguì aspramente Stefano arrivando a percuoterlo con un bastone: ma Stefano era imparentato con l’Imperatore d’Oriente ed a Costantinopoli vi fu chi palesò il pericolo che tali comportamenti potessero essere indicativi di una volontà dominante di Maniace ed essere anticipativi di un probabile tentativo di spodestare l’Imperatore che, una volta che Maniace avesse soggiogata la Sicilia intera, non sarebbe stato più in condizione di opporsi al generale vittorioso. La reazione dell’Imperatore così viene descritta da Michele Amari: “poco avanzava ormai perché tutta l’isola tornasse all’Impero e al Cristianesimo. Ma repente per segreto comando della corte, il capitano vincitore fu preso, imbarcato per Costantinopoli, gittato in fondo d’un carcere; e commesso di ultimare la guerra a quel medesimo Stefano ed all’eunuco Pediatite.”(2) L’inettitudine al comando militare dei due e la sopravvenuta esigenza di distaccare parte delle truppe bizantine in Puglia nel 1040, ove era scoppiata una ribellione contro i Bizantini da parte dei Normanni che si erano ritirati dalla Sicilia dopo la presa di Troina, fecero sì che già all’inizio del 1042 la Sicilia, tranne Messina che resistette ancora per qualche tempo, era stata interamente riconquistata dai Musulmani e persa per sempre dall’Impero d’Oriente. Mentre gli Arabi riconquistavano la Sicilia, i Normanni tornati nell’Italia meridionale alla guida di Guglielmo Braccio di Ferro, cercando di trarre profitto dalla debolezza dei Bizantini e dei Longobardi, riaccesero per ogni dove focolai di guerra nell’intento di porre le fondamenta di stabili possedimenti in terra d’Italia. Già al loro arrivo nell’Italia meridionale i Normanni, ancora non sufficientemente forti, non avevano trovato subito una stabile dimora, ma, uniti in gruppi differenti, si erano messi al servizio dei vari signori locali in qualità di mercenari. I primi stanziamenti non tardarono, però, a consolidarsi cosi come in passato già nell’anno 1016 ne troviamo alcuni esempi. Da questo momento aveva avuto inizio la conquista dell’Italia meridionale da parte dei normanni, i quali, approfittando della confusa situazione politica di quelle terre, riuscirono a sottomettere ampie zone. I Normanni, successivamente, non si limitarono ad impadronirsi di territori, ma cercarono, nel contempo, di trasformare in giuridico il possesso di fatto da loro conquistato. A tal fine chiedevano l’appoggio di uno dei grandi signori locali: prestando a questi l’omaggio feudale. Da un lato ne riconoscevano la superiore autorità, ma dall’altro chiedevano ed ottenevano la legittimazione della conquista e del ruolo per potere esercitare il governo sulle terre ormai considerate proprie. (3). Dal racconto di Michele Amari vediamo che, dopo la morte di Guglielmo Braccio di Ferro, Drogone sostituisce Guglielmo alla guida dei Normanni riuscendo ad ottenere l’investitura a Conte di Puglia dall’Imperatore Arrigo III nel 1047. Nel 1051 Drogone muore e gli succede il fratello Unfredo che continua a portare lo scompiglio nell’Italia meridionale: nel frattempo arrivano in Italia i figli della seconda moglie di Tancredi ( 1047) il cui maggiore era Roberto il Guiscardo: questi viene mandato da Drogone in Calabria con l’incarico di conquistare quanti più territori poteva, fornendogli un luogo fortificato ove ripararsi a da cui far partire le incursioni: ovvero il fortilizio che era stato fatto costruire da Drogone ed a cui fu dato nome Rocca di San Martino. Roberto il Guiscardo iniziò così la conquista della Calabria devastando, uccidendo, bruciando e razziando: emulando in ciò le gesta che appartenevano allo stile dei Normanni già mostrato dai suoi fratelli che lo avevano preceduto nella conquista dell’Italia meridionale. Le devastazioni dei Normanni nell’Italia meridionale determinarono Papa Leone IX a richiedere aiuti militari all’Imperatore Tedesco per fronteggiare l’esercito dei Normanni sempre più potente e pericoloso. L’esercito messo in campo dal Papa si apprestò a scendere in battaglia contro l’esercito normanno: quando l’esercito papale stava per entrare in contatto con i Normanni, questi cercarono una mediazione con la Santa Sede al fine di evitare lo scontro. Il Papa, però, respinse ogni trattativa: il 18 giugno 1053 l’esercito papale affrontò in battaglia a Civita sul Fortore i Normanni capitanati da Unfredo. La battaglia fu vinta dai normanni che fecero a pezzi l’esercito del Papa ed egli stesso fu preso prigioniero e tenuto in ostaggio per circa dieci mesi. Poco tempo dopo essere stato liberato, nel 1054 Leone IX muore e viene eletto Papa Stefano IX che manifesta l’intenzione di riprendere la guerra contro i Normanni; intanto nel 1056 era venuto in Italia l’ultimo figlio di Tancredi, Ruggero, che si unisce a Roberto il Guiscardo a cui da presto prova delle sue capacità. Dopo la vittoria di Civita sul Fortore i Normanni soggiogarono il resto della puglia tranne alcune città fortificate come Bari. Nel 1056 muore Unfredo e prima di morire chiamò a se Roberto nominandolo tutore del figlio minore: alla sua morte Roberto subentra a Unfredo quale Conte di Puglia, riuscendo altresì ad ottenerne l’investitura da Papa Niccolò II ed inoltre il riconoscimento del diritto alla Signoria di Puglia e Calabria, nonchè il titolo di Duca e feudatario della Chesa Romana. L’accettazione del ruolo di feudatario, per Roberto, comportava l’impegno ad essere fedele alla Santa Sede, di difendere militarmente il Papa se ve ne fosse stato bisogno e di pagare un censo annuo di 12 denari per ogni iugero di terreno dei possedimenti sottoposti al governo del Duca Roberto. Questo contratto feudale, sicuramente vantaggioso per la Santa Sede, costituì per i Normanni la fonte del loro diritto a governare quella parte d’Italia e potè essere realizzato per la nuova politica che il Papato perseguiva mirante allo sganciamento di Roma dall’orbita politica e militare degli Imperatori Tedeschi. Nel patto feudale tra Roberto il Guiscardo ed il Papa fu inserita la clausola dell’impegno dei Normanni alla riconquista della Sicilia per cui il Papa già si impegnava, in tale eventualità, a darne l’investitura a Roberto il Guiscardo. L’accordo scaturì dall’incontro del 1059 tra il Papa Niccolò II e Roberto il Guiscardo a Melfi: in questa occasione il Duca Normannop prestò al Pontefice due giuramenti, quello dell’Omagium e quello della Fidelitas. Con il primo Roberto otteneva l’investitura delle terre conquistate e la conseguente legittimazione della Jurisdictio su di esse esercitata: poteva perciò assumere il titolo di “ Dux Dei Gratia et Sancti Petri “, riconoscendo con ciò che il potere di governare gli derivava da Dio, ma per il tramite della Santa Sede, che egli riconosceva a se superiore. Niccolò II legittimava al Guiscardo la signoria su Puglia, Calabria e addirittura sulla Sicilia, non ancora strappata ai Musulmani; in contro il Duca si impegnava a versare un Censuo Annuo. A sua volta con l’infeudazione del Ducato di Puglia e Calabria la Chiesa di Roma riaffermava la propria pretesa di sovranità nell’Italia meridionale e dichiarava, pertanto, quelle terre parte del Patrimonium Beati Petri. (4). Nel frattempo i Normanni avevano completato la conquista di quasi tutta la Calabria, arrivando nel 1060 a conquistare Reggio Calabria: l’avvenuta conquista di Reggio da parte dei Normanni convinse la comunità cristiana di Messina a chiedere l’intervento dei Normanni per liberare Messina dal giogo musulmano. Nell’agosto 1060 i rappresentanti della comunità cristiana di Messina: Ansaldo di Patti, Niccolò Camulio e Iacopo Saccano si recarono a Mileto dove, in quel momento soggiornavano il Papa, Roberto il Guiscardo e Ruggero. Gli ambasciatori di Messina presero contatti con il Conte Ruggero a cui chiesero di passare in Sicilia per liberare Messina dal dominio degli Infedeli; la proposta fu portata da Ruggero al Papa ed ai sei Cardinali al suo seguito: Ruggero fu autorizzato a compiere l’impresa di Sicilia a patto che dopo la conquista i beni della Sicilia fossero divisi in tre parti di cui la prima al clero, la seconda ai cavalieri, la terza ai Normanni. Nel frattempo Ibn at-Tmnah, signore di Catania, si reca anch’esso a Mileto per richiedere l’intervento dei Normanni nella lotta contro i suoi nemici musulmani: a Mileto Ruggero non chiude l’accordo con Ibn at-Tumnah e la trattiva si sposta a Reggio Calabria dove arriva anche Roberto il Guiscardo, venuto appositamente per incontrare l’Emiro di Catania. Alla presenza di Roberto il Guiscardo viene raggiunto l’accordo ed i Normanni si impegnano ad intervenire in Sicilia al fianco di Ibn at-Tumnah in cambio di una quota delle terre siciliane conquistate da due eserciti; a garanzia dell’accordo Ibn at-Tumnah da in ostaggio ai Normanni un proprio figlio. Negli ultimi giorni del febbraio 1061 i Normanni sbarcano in Sicilia e con un’azione coordinata con l’esercito di Ibn at-Tumnah attaccano Messina e Rametta; l’impresa però falli ed i Normanni ritornarono in Calabria. Nel maggio del 1061 l’impresa viene ritentata e questa volta registra un pieno successo degli eserciti di Ibn at-Tumnah e dei Normanni che conquistano in breve tempo Messina, Rametta, Tripi, Frazzanò, Maniace ed arrivando alla valle del Simeto. Nella prima fase della conquista i Normanni trovarono il primo serio ostacolo alla loro avanzata all’atto in cui tentarono di spugnare la Rocca di Centuripe, difesa da solide ed alte mura, da profondi fossati e da molti Musulmani ben armati: ben presto l’esercito di Ibn at-Tumnah e dei Normanni tolse l’assedio a Centuripe, temendo di essere sorpreso alle spalle dall’esercito di Ibn al-Hawwas che stava muovendo in quella direzione. Ritiratosi da Centuripe i Normanni ed i loro alleati musulmani si portarono oltre il Simeto, occupando Paternò ed Emmelesio da cui i musulmani erano fuggiti. L’altro iniziale, insormontabile ostacolo i Normanni ed i loro alleati musulmani di Ibn at-Tumnah lo trovarono all’atto in cui tentarono di espugnare Castrogiovanni (Enna ) dove però non sfuggirono alla battaglia campale contro l’esercito di Ibn al-Hawwas che fu fatto a pezzi e dove i Normanni recuperarono un ricchissimo bottino e migliaia di prigionieri che furono poi venduti come schiavi. Verso la metà del luglio 1061 , approssimandosi il tempo in cui non era consigliabile persistere nella conduzione di campane militari, Robertò il Guiscardo, pago comunque della vittoria e del bottino recuperato, ritenne non consigliabile continuare l’assedio a Castrogiovanni, decidendo di ritirarsi in Calabria. Prima di lasciare la Sicilia per la Calabria, comunque, il Guiscardo rafforzò la difesa di Messina e fece costruire, sembra su una precedente costruzione militare, il Castello di San Marco, lasciandovi un presidio militare al comando di Guglielmo de Male. Contemporaneamente le truppe di Ibn at-Tumnah si ritirarono a Catania dopo aver sottoscritto un trattato con i Signori di Trapani e Palermo. Nel dicembre 1061 il solo Ruggero ritorna in Sicilia spingendosi fino ad Agrigento e Troina, dove viene accolto dalla comunità greca, prevalente a Troina, accettando di essere nominato Console della città con l’impegno a difenderla: Ruggero si fermò per qualche tempo a Troina che gli pagava un tributo per l’impegno assunto. Da Troina Ruggero torna temporaneamente in Calabria per sposare Giuditta, figlia del Conte di Evereux, ritornando poi in Sicilia per sottomettere, assieme ad Ibn at-Tumnah Petraia. Ritornato Ruggero alla sposa in Calabria, Ibn at-Tumnah continua da solo la sua azione di conquista, trovando, però, la morte nei primi giorni di marzo del 1062 sotto le mura di Entella, dove era stato attirato in un tranello con la scusa di trattare la resa della città. Nel frattempo i rapporti tra Roberto il Guiscardo ed il fratello Ruggero si erano guastati a causa della indisponibilità del Guiscardo a dare al fratello quanto da questi gli era stato promesso in prospettiva delle conquiste che poi erano state effettuate: Ruggero contestò al fratello di costringerlo a vivere assieme alla sua sposa, di principeschi natali, in una condizione economica non adeguata alla sua nobiltà ed al suo ruolo. L’ostinazione del Guiscardo a negare quanto dovuto al fratello Ruggero, indusse quest’ultimo a porre un ultimatum al fratello: passati 40 giorni Ruggero avrebbe attaccato il Guiscardo. La tensione fra i due fratelli si allentò allorché Ruggero fu costretto ad intervenire per salvare il fratello Roberto, caduto prigioniero degli abitanti di Geraci ed in pericolo di morte. Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre del 1062 Ruggero ritorna in Sicilia con la moglie stabilendosi a Troina, di cui rafforzò le difese, ma dovendo rilevare che i cittadini di Troina avevano mutato atteggiamento nei confronti dei Normanni, tollerando ma non gradendo la loro presenza. I Normanni, infatti, manifestavano modi ed usanze nell’ambito dei rapporti con il gentil sesso che contrastavano con la cultura greca predominante a Troina. La situazione degenerò a tal punto che gli abitanti di Troina si rivoltarono contro i Normanni, raccogliendo l’aiuto degli Arabi delle fortezze circostanti che misero in campo un esercito di cinquemila uomini. Ruggero ed i suoi stavano per capitolare e solo una fortunosa occasione permise loro di respingere l’attacco degli assedianti, permettendo ai Normanni di riprendere in mano la situazione e disperdere le forze avversarie. La situazione in Sicilia si faceva sempre più difficile per gli Arabi della parte occidentale dell’isola, mentre i Musulmani della Sicilia orientale ed i Normanni avanzavano nella conquista: dopo la morte di al-Mu’izz, avvenuta il 31 agosto 1062, gli Arabi della Sicilia occidentale si determinarono a chiedere l’aiuto dei Principi Zayriti. Accettando la richiesta dei loro correligionari, nel 1063 sbarcarono in Sicilia quelli che l’Amari definisce “i feroci ausiliari di Tamin “divisi in due corpi di spedizione con a capo di ognuna due figli di Tamin. Ayyub fu messo a capo della spedizione più consistente e sbarcò a Palermo dove assunse il ruolo di Governatore in nome del padre e con il beneplacito dei Palermitani; l’altro fratello, ‘Alì, a capo del secondo corpo di spedizione sbarcò ad Agrigento, dove si pose al seguito di Ibn al-Hawwas. Le vicende che seguirono allo sbarco dei due corpi di spedizione arabi in Sicilia vide, comunque, nuove vittorie dei Normanni che a Cerami sbaragliarono gli Arabi. Nel 1063, realizzando un piano che l’Amari ritiene possa essere stato concordato con il Guiscardo, i Pisani, approfittando delle difficoltà degli Arabi dopo la disfatta di Cerami, allestirono una armada per attaccare Palermo. Dopo aver inutilmente chiesto a Ruggero di unirsi a loro, i Pisani da soli, il venti settembre 1063, sbarcarono a Palermo occupando e saccheggiando la città: dopo aver raccolto un grande bottino tornarono a Pisa e con i proventi di quell’impresa iniziarono la costruzione del Duomo di quella città. Il 1063 si chiuse con il ritorno dell’esercito di Ruggero a Troina con un ricco bottino raccolto in seguito alle scorribande nella valle dell’Imera, a Collegano, a Brucato, a Cefalù e nell’agrigentino. Nella primavera del 1064 Roberto il Guiscardo ed il fratello Ruggero approntarono un esercito con il quale marciarono su Palermo che posero sotto assedio, ponendo il campo in una collina nei pressi della città. Dopo tre mesi di inutile assedio i Normanni tolsero l’assedio a Palermo e prima di ritornare indietro, il Guiscardo in Calabria e Ruggero a Troina, marciarono verso Agrigento espugnando Bugamo, che si trovava a poca distanza da questa città, distruggendola interamente e conducendo gli abitanti schiavi a Scribla in Calabria dove furono messi a lavorare le terre del Guiscardo. Nel mentre avvenivano questi fatti in Sicilia, nel contesto europeo le due grandi potenze che dominavano la scena, l’Impero ed il Papato, cercavano di affermare, ognuno, la propria supremazia l’uno sull’altro, anche se la tensione tra i due grandi poteri del tempo non aveva ancora determinato del tutto la rottura delle intese sinergiche a realizzare comuni interessi verso l’Oriente. La stabilizzazione dell’Impero Romano d’Oriente e le contese con il Papato avevano costretto l’Impero e ridimensionare i propri progetti espansionistici per cui: “ Il programma orientale dell’Impero si doveva quindi restringere ormai alla conquista del Mezzogiorno d’Italia ed alla lotta contro i Normanni, tanto più che gli scaltri eredi di Boemeondo mostravano di sapersi mirabilmente destreggiare nella contesa tra Impero e Papato. Per questo nel 1075 (quando ormai i Normanni si apprestavano credibilmente e divenire i padroni della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia), Enrico IV, in lotta con Gregorio VII, è costretto dalla necessità a sollecitare l’alleanza di Roberto il Guiscardo contro il Papato, promettendogli in cambio dell’alleanza l’Investitura Imperiale delle terre conquistate.”. (5) Parimenti all’azione di conquista della Sicilia si poneva per i Normanni il problema di porre presidi difensivi organizzati che permettessero di porre capisaldi nelle terre conquistate; ma nel costruire strutture militari di carattere difensivo, i Normanni quasi sempre, contemporaneamente si dedicavano alla costruzione di edifici religiosi per meglio coagulare il consenso delle popolazioni asservite. “ L’attività costruttiva dei principi Normanni fu sin dal principio, ed anzi maggiormente in principio, dedicata anche a compiti militari; il Gran Conte – a detta del Malaterra – Castella Turresque apud Messana urbem Jaclens aedificare coepit […] brevi tempore turribus et propugnaculis immensae altitudinis mirifico opere consumavit… – e poi elevò torri e castella a Rametta, a Petraia, a Vicari, a Castroreale, a Troina, a Nicosia ed in molti altri luoghi tra cui Adornò, Paternò e Motta, importanti capisaldi per il possesso di Catania.”.(6) Completata la sottomissione degli Arabi di Sicilia ed avendo costituito il nuovo Dominio Normanno, reso possibile dalla Legatia Apostolica concessa dal Papa: “ Rugieri pose l’animo ad ripristinar de’ vescovadi, crearne dei nuovi, sottoponendo le chiese tutte alla supremitade latina. Ristaurò dunque il vedono seggio di Berillo nel 28 aprile 1091, e locovi Ansgerio britanno di nazione, priore del monastero benedettino di Santa Eufemia in Calabria. Alcuni monaci seco lui qui si trassero a ricomporre il capitolo della cattedrale, a foggia della Istituzione di Francia Lamagna ed Italia stabilita da Ludovico Imperatore nel Concilio di Acquisgrana di ottobre 816, ed omologato da Innocenzo II.”. (7) Successivamente: “I Sovrani Normanni investiti, grazie alla Legatia Apostolica di ampia autorità nel regolamento degli affari ecclesisstici in Sicilia, mettono in moto, organizzando la Chiesa Latina, una complessiva ed efficiente macchina istituzionale, affidata ad uomini di assoluta fedeltà, provenienti per lo più da oltralpe tramite le fondazioni monastiche di origine normanna dell’Italia meridionale; escludendo così uomini e ordini religiosi che non dessero sufficienti garanzie di indipendenza dai grandi poteri: Papato ed Impero, ostili al costituirsi del Regno Normanno dell’Italia meridionale. Una macchina istituzionale capace di funzionare con grande docilità ad una politica gelosa della propria autonomia di fronte al Papato, capace di gestire delicatissimi compiti di comando e di organizzazione delle popolazioni tramite amplissimi poteri di tipo fiscale e giurisdizionale, assolutamente impermeabile alle interferenze di qualsiasi potere esterno. Ed è attraverso il monachesimo che si radicano nell’isola salde e profonde strutture signorili, come organizzazione del territorio a partire dalla soggezione delle popolazioni alla terra e agli obblighi villanatici. Il monachesimo consentì che ciò non avvenisse esclusivamente attraverso l’alienazione dell’isola nelle mani di una feudalità laica di difficile controllo politico. E’all’interno di queste vaste ed efficienti aziende signorili ecclesiastiche, sapientemente incuneate tra demanio regio e terre baronali, controllate dal potere centrale attraverso meccanismi istituzionali forgiati con il diritto ecclesiastico più efficaci di quelli meramente feudali, che la Sicilia viene agganciata all’Europa. E non in un senso che attiene solo alla sfera religiosa, bensì a quella più concreta dei rapporti sociali.”. (8) “Il Conte Ruggero, non prevedendo l’enorme estensione delle terre ecclesiastiche in Sicilia, indubbiamente voleva che tutte le proprietà della Chiesa dovessero essere esenti da Servizio. Nella sua generosissima donazione alla Chiesa di Catania nel 1091, su richiesta dell’Abate, egli stipulò un obbligo simbolico di pane e vino – et non amplius – per se e per i suoi eredi allorché visitassero Santa Agata. L’abbazia poteva riceversi e tenersi libere donazioni di terra allodiale, il che era comune in Sicilia. Naturalmente, nei monasteri fondati dagli Altavilla il Re aveva anche lo Ius Patronatus sulla elezione degli Abati. Solo una volta ci fù qualche atrito tra il corpo elettorale e il potere reale. Nel 1167 i benedettini di Catania pare avessero scelto come loro Abate-Vescovo Giovanni di Aiello, in contrapposizione a Guglielmo di Blois, il candidato della Reggente, la Regina Margherita […]. L’Abate – Vescovo di Catania venne anch’egli consacrato dal Papa fino allo scisma anacletano; verso il 1166 la consuetudine fu ripresa, ma nel 1183 la Chiesa di Catania venne assoggettata a Monreale. Nel 1174 la Regina Margherita donò all’abbazia di Maniace dei possedimenti talmente vasti che normalmente l’avrebbero resa in abbazia esonerata; ma la Regina immediatamente la subordinò a Monreale. L’Abate-Vescovo di Monreale fu pertanto l’unico prelato monastico di Sicilia dipendente direttamente dal Papa alla fine del periodo normanno.”. (9) “Sugli abitanti delle loro terre, gli Abati esercitavano il potere giudiziario in diversa misura. I primi documenti sono ambigui riguardo alla sua ampiezza. Nel 1091 il Conte Ruggero affidava all’Abate di Catania – Omnia illa sudicia terrena in tota terra monasterii, et in portibus, et in littoribus maris-. La parola terrana probabilmente significa la normale giurisdizione di un barone: i casi civili – se davvero la distinzione tra reati civili e reati penali era chiaramente intesa a quell’epoca in Sicilia – e bassa giurisdizione nei processi penali. L’alta giustizia penale era presumibilmente riservata alla stessa Corte di Ruggero.” (10). Gradatamente i Normanni, consolidata la conquista della Sicilia, passarono da una struttura dell’amministrazione Stato fondata sull’esigenza di realizzare conquiste territoriali ad una amministrazione che permettesse la gestione del territorio conquistato, garantendone la tranquillità sociale e la possibile di trarre da ogni territorio quelle ricchezze che permettessero alla Nuova Nazione di poter funzionare. Naturalmente la possibilità di realizzare un fisco equo ed efficace impose ai Normanni la conoscenza capillare del territorio siciliano, che essi poterono realizzare acquisendo i documenti amministrativi che avevano usato precedentemente gli Arabi che, a loro volta, li avevano ereditati dai Bizantini: tali strumenti furono, naturalmente, adeguati alla nuova tipologia di organizzazione feudale del territorio da essi realizzata. “Molti documenti siciliani dell’epoca normanna e sveva ci ricordano i Quaterni o Quaterniones o Quinterniones , detti con voce Bizantino-Araba, e sino a tarda epoca, Defetari o Dentari, come quaderni contenenti la descrizione dei confini delle terre, conservati nell’ufficio detto Duana De Secretis e in quello della Duana Baronum. Essi fino all’epoca del Re Guglielmo II erano scritti in arabo, il che fa nascere la supposizione che fossero quaderni compilati durante il periodo arabo; supposizione del resto ben fondata, perché un documento del 1094 menziona le Antique Divisiones Saracenorum. Ma forse gli Arabi stessi non fecero che usare per i loro scopi fiscali, traducendoli nella loro lingua, i libri catastali preesistenti alla loro invasione nell’isola, giacchè nelle terre bizantine si son trovate tracce della loro esistenza e specialmente per la Calabria, vicinissima alla Sicilia, parrebbe potersi arguire la loro esistenza da un passo della Cronaca Delle Tre Taverne, ove si dice che l’Imperatore Niceforo II fece restituire ai cittadini Terminos Proprios: il che non avrebbe potuto fare senza l’esistenza di alcuni registri, in cui fossero stati descritti questi termini[…]. Gli Arabi poi a loro volta, e, con molta probabilità, con il seguire gli ordinamenti bizantini adottarono anche le forme catastali per il censimento conoscente nell’Azienda Pubblica d’Egitto, ove signoreggiavano i Califfi fatimidi, legislatori dell’Azienda Sicula. E dagli Arabi accolsero quei Quaterni i Normanni, i quali, probabilmente, li dovettero assoggettare a diverse modificazioni, sostanziali e formali, per il mutarsi stesso della ripartizione e dell’ordinamento della proprietà in seguito alla introduzione dei Feudi ed alle larghe concessioni alle Chiese. Infatti il Protonotaro della Corte Comitale Normanna, nel 1123, investigando le Divise Generali di Biccari, Specificavit Disticte Divisas Ecclesiarum Baronum Et Militum; e così fu dalui ritoccato il Quaternus Duane.Eranvi insomma notate tutte le proprietà Cum Omnibus Pertinentiis Suis, Terris, Cultis Et Incultis, Memoribus Et Villanis . Ed appunto perché i Villani erano considerati come pertinenti alle terre erano anche elencati nei Defetari. Nella descrizione di ogni Casale trovatasi l’elenco o Platea o Gorida dei servi e villani in esso abitanti.”. (11) Con Ruggero II l’organizzazione dello Stato Normanno si rafforza acquisendo potere prima demandato ai grandi feudatari: il territorio siciliano viene diviso in due Provincie divise dal fiume Salso: Sicilia Ultra Flumen Salsum ( Sicilia Occidentale ) e Sicilia Citra Flumen Salsum ( Sicilia Orientale ). “Grazie all’insediamento dei Funzionari nelle Provincie ( Citra ed Ultra ) il potere della Corona venne a tal punto rafforzato nei confronti dei grandi feudatari, che la Dignità Regia assunse un contenuto concreto e non restò, come nella maggior parte degli altri Stati Medioevali, il semplice titolo onorifico di Primus Inter Pares. “. (12) Non è improponibile pensare, se si rappresentasse il punto di vista dell’osservatore che ha classificato che ha classificato “Citra.” la Sicilia Orientale ed “Ultra.” la Sicilia Occidentale, che Ruggero II aveva, evidentemente un senso di appartenenza più legato alla Sicilia Orientale. La Statura Politica di Federico II venne ben presto a manifestarsi nella coniugazione delle iniziative giuridiche ed organizzative finalizzate al rafforzamento del potere centralizzato della Nazione Siciliana, con una fermezza che gli permisero di costituire, in breve tempo, lo Stato più potente del Mediterraneo di quell’epoca. Lo snodo fondamentale dell’opera di riorganizzazione dello Stato Siciliano passa attraverso le decisioni costituite nella sede delle assise della Dieta di Capua del 1220 e che, sostanzialmente, azzerarono le modifiche intervenute nella realtà dell’isola dopo la morte di Guglielmo II: il recupero del potere da parte del Re non poteva prescindere dal recupero del controllo militare del territorio, che era stato fortemente militarizzato in seguito alle lotte successive al 1189. “Tra le disposizioni emanate durante la Dieta di Capua alla fine del 1220 si trova una legge che precisa come tutti i castelli e le altre fortificazioni costruite dopo la morte di Guglielmo II (1189), ex novo, su terre non demaniali dovessero essere consegnati alla Corona per essere distrutti o riportati allo stato in cui si trovavano all’epoca di Guglielmo II; per il demanio l’Imperatore si riservava la possibilità di decidere liberamente. Questa legge divenne un importante strumento nelle mani di Federico II contro i baroni del Regno. Per questo venne in seguito rinnovata ed inserita nel Corpus delle Costituzioni.”(13) “ Nella sua attività volta ad incrementare il demanio al fine di un rafforzamento dell’Autorità Regia nei confronti dei potenti vassalli, Federico II acquistò castelli che rivestivano un ruolo importante dal punto di vista strategico, evitando, in altri casi, astutamente un uso aperto della violenza nei casi in cui c’era da temere della resistenza; ma egli non si peritò di ricorrere all’inganno ed al tradimento quando gli sembrarono mezzi atti allo scopo. Accanto al sistematico incameramento al demanio di castelli, venne intrapresa la costruzione di nuovi castelli e di fortificazioni urbane. […]. Ancora più ampia che nel resto del Regno fu l’attività edificatoria di Federico II in Sicilia. La sappiamo di costruzioni di castelli lungo tutta la costa orientale: a Messina, Catania, Siracusa ed Augusta. Così sotto Federico II si osserva dappertutto un modo di procedere consapevole e finalizzato.” (14) Per gestire quella che era divenuta una complessa macchina militare, che rappresentava il più oneroso impegno amministrativo del Regno di Federico II, il Sovrano: “[…] dopo il ritorno dalla crociata codificò le Constitutiones e diede vita ad un settore specifico dell’amministrazione riservato ai castelli, ponendo la prima stesura dello Statuto Sulla Riparazione Dei Castelli. La massima parte delle fortezze citate nello statuto sulla riparazione dei castelli era in questi anni probabilmente nelle mani della Curia o vi stava giungendo.” (15) “ Le prime Nazioni che adottarono nei loro ordinamenti il Parlamento furono l’Inghilterra e la Sicilia, Però spetta alla Sicilia il vanto della priorità poiché il so Parlamento precedette di un secolo quello dell’Inghilterra Il primo Parlamento Siciliano ri riunì nel 1130 alla presenza del Conte (Re) Ruggero II mentre la prima riunione del Parlamento Inglese ebbe luogo nel 1215 data sotto la quale Giovanni Senza Terra elargì la famosa Costituzione che va sotto il nome di Magna Carta, fondamento delle libertà inglesi.” (16) “Quando i Normanni invasero la Sicilia e l’Italia meridionale, essi, attenendosi al principio della personalità della legge, non abolirono le Istituzioni Giuridiche vigenti presso i loro sudditi ma lasciarono ad essi, Cattolici, Arabi ed Ebrei il loro diritto. Per quanto si riferisce, invece, ad alcune Istituzioni Politiche (Feudi e Parlamenti) seguirono il loro diritto di origine che era poi il diritto franco e quindi trapiantarono in Sicilia il loro Parlamento: La forma primitiva del Parlamento presso i Normanni fu quella del Gran Consiglio. Negli storici e nelle carte si trovano spesso adoperate le parole: Curia de More e Concilium Regni, ma non si riesce a capire quali fossero le attribuzioni a come fossero formate queste assemblee. Quanto alla composizione del Parlamento, pare assodato che in origine si applicasse ad esso il sistema feudale e quindi che vi intervenissero soltanto i Vassalli del Re e l’Alto Clero; più tardi vi furono chiamati i rappresentanti del Basso Clero, poi quelli delle Contee ed in ultimo quelli dei Borghi e delle Città.” (17)

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