Edoardo Saitta e “Le Sorelle Scipione”

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Edoardo Saitta e “Le Sorelle Scipione”

In conseguenza di tempi in cui da esser lieti c’è veramente poco, a causa del carico di problemi e l’ascolto di tutti i fatti nefasti che si registrano durante la giornata, ridere di cuore può realmente aiutare. Se poi, la comicità è brillante ed intelligente come quella della compagnia dei Saitta, l’elisir è testato e messo a punto.
Al Teatro Angelo Musco, in replica sino a domenica 3 Febbraio, “Le Sorelle Scipioni”, ispirato al Paraninfo di Luigi Capuana e riscritto e diretto da Edoardo Saitta. Con Aldo Mangiù (Don Pasquale), Lucia Debora Chiaia (Rosa, la moglie), Edoardo Saitta (Fulli, il segretario tutto fare), Massimo Procopio (Don Angelino), Katy Saitta (Ilaria Scipione, la maggiore) e Serena Rapicavoli (Isabella Scipione, la minore).
La negazione della paternità, maggiormente di spunto, nella novella di Capuana, nella riscrittura di Saitta è soltanto sottointesa: Don Pasquale, in pensione, presta orecchio e cuore a coppie incompiute ma possibili fra la gente che conosce: perché lo fa? è mica un impiccione? niente affatto! Il coronamento di un’ unione, dunque la lotta contro la solitudine di persone a lui note, gli da quella soddisfazione che un volontario sente nel prestare soccorso ad un bisognoso. Uomo di mondo, sebbene con un’aria disincantata che gli fa ancora credere nella bontà umana, il Don Pasquale Paraninfo è molto ostinato: sa bene che, lì dove la bellezza e la cura della persona difetta, un elemento di convincimento potrebbe essere certamente il patrimonio: case, botteghe, palazzetti, ville in campagna. E il fortunato o il malcapitato si convince. C’è dunque chi lo benedice, chi, altrimenti come Angelino, lo colpevolizza di avergli affibbiato una donna litigiosa e polemica che gli ricorda tutto il giorno che non sono riusciti ad avere figli e che addirittura di notte “runfa “. Ahimè, dopo qualche mese, Angelino rimarrà vedovo e Don Pasquale escogiterà un piano per fare sposare a lui e a Filippo detto Fullì e cresciuto a casa sua e che gli fa egregiamente da factotum, le signorine Scipioni, una alta e l’altra bassa, “male cumminate” nell’aspetto e nel vestire ma ricche, estremamente ricche!
Edoardo Saitta, screma la vicenda facendo a meno di alcuni personaggi originali, mantiene alti i tempi comici delle gag ricorrenti, assottigliando al minimo indispensabile le pause, giusto il tempo di riprendere fiato fra una risata e l’altra. Pur avendo il proprio ruolo una funzione di cucitura e collegamento, nella riscrittura ha marcato per gli altri attori le caratteristiche da ricordare: Don Angelino, un buffo modo di parlare e di ridere, la moglie giunonica “ca’ inchi na’ stanza”, Don Pasquale “che segni non ni sapi fari” e che va a caccia di volpi in mezzo alla lava dell’Etna con stivali di gomma e “cimedda”; le sorelle Scipione con gambaletti e mocassini ed un buffo intercalare “ci su cchianati?”. L’allestimento scenico della terrazza che apre un imponente cancellata sulla Catania antica fa realmente pensare al sole, le bibite al limone e con le foglie di menta, l’afa e al venticello ristoratore. L’uso del dialetto classico compiace sia chi lo conosce bene come chi per la prima volta ne apprende parole mai intese come, ad esempio, “Sgriddari”.

Ruoli come quello del paraninfo, del sensale, del ruffiano, che rischiano di essere classificati con disprezzo come ficcanaso e impiccioni, celano , per le intenzioni e gli effetti di un tempo, un’attenzione verso le sorti delle umane genti assai più profonde di quanto non si creda: letteralmente “colui/colei che accompagna lo sposo/la sposa dalla sua casa a quella nuziale”, divenne poi procacciatore di affari amorosi, in cui si cimentavano tanto donne che uomini. Se oggi i ruoli sociali vengono snaturati dal bisogno di inseguire forme di attenzione che non prevedono ad esempio le sorti di chi ci vive accanto, ma si occupano virtualmente delle pietanza fotografata ed esibita su una piattaforma sociale, questa deliziosa commedia ci riporta alle atmosfere che si vivevano nel quotidiano, quando bussare al vicino di casa era cosa normale; quando si dava la voce da un piano ad un altro; quando si girava per il paese per fare le collette per le feste. E tutti ci si conosceva. Difficilmente qualcuno veniva trascurato. Nel bene, quanto nel male.
Il Paraninfo venne pubblicato per la prima volta nel 1903 sulle pagine della domenica al giornale Fanfulla (giornale politico e culturale fondato durante l’unità d’Italia da Ferdinando Martini e diretto dal 1882 al 1883 dallo stesso Capuana). La Compagnia comica di Angelo Musco la porta in scena per la prima rappresentazione teatrale il 12 maggio del 1914 al “Teatro Mastrojeni “ di Messina, e da lì, verso numerosi teatri della Sicilia per poi approdare nei principali teatri italiani. Angelo Musco vent’anni dopo ne interpretò anche la versione cinematografica diretta da Amleto Palermi, con tiepida accoglienza della critica che valutò sprecato un attore di quella levatura.

Edoardo Saitta è reduce da un’estate professionale densa di soddisfazioni, avendo portato in tournée il suo spettacolo “Andiamo a Governare” nel quale, (con l’ausilio di facsimile e slogan veramente utilizzati dai politici in campagna elettorale), chiacchiera col pubblico prendendo spunto dal contesto politico e governativo. Ha ripreso dunque il teatro di prosa, da capocomico, avendogli lasciato il padre Salvo Saitta il timone e la responsabilità della compagnia. Egli comincia per caso a dodici anni in un lavoro diretto da Lamberto Pugelli , “La nuova colonia” di Luigi Pirandello; membro di una famiglia di attori in cui zii e nonni e fratelli e cugini sono cresciuti dietro le quinte e calpestato assi del palcoscenico, Edoardo Saitta si può definire un talento genetico. La sua mimica è coinvolgente e per niente sboccata: ci piace questo ragazzo – generoso capocomico – che rilegge classici della letteratura siciliana conferendo nuove note di colore e, come nel caso della commedia “Le Sorelle Scipione” (in origine, sorelle Macamè), rispettandone gli indirizzi originali. La compagnia dei Saitta gode da anni di una fama a cui la critica e gli spettatori rendono omaggio, ma in occasione di questo lavoro, a Edoardo va in particolar modo riconosciuto il merito di essere stato in grado di riscrivere la versione teatrale dando occasione generosamente (ed aggiungo “intelligentemente”) a tutti gli attori intorno a sé, contrariamente a qualche recente lavoro a cui ho assistito, in cui la riscrittura indugia su un personaggio in particolare, creando a mio parere una disfunzione nello scorrimento e una ingiusta distrazione da ruoli funzionali e portanti. Riuscita concomitanza fra le caratteristiche dei personaggi ed il testo! Tutti bravissimi, ma lasciatemi definire magnifico lo spassosissimo Massimo Procopio.

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