E se facessimo come Facebook…

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E se facessimo come Facebook…

..che in certi giorni ci ricorda gli eventi accaduti gli anni precedenti?

Dov’eravamo l’anno scorso il 30 Aprile? Cosa stavamo facendo, ché programmi avevamo? Chi stavamo aspettando? Io ricordo bene cosa stavo facendo, chi stavo aspettando e cosa stavo organizzando con i miei amici per trovarci tutti l’indomani a casa di uno di noi. Ci ricordiamo davvero le sensazioni, l’attesa? Era chiara e vivace la gioia? Avvertivamo la consapevolezza della festa, oppure l’affrontavamo come un evento segnato in calendario il cui significato fosse subordinato alla grigliata sulla carbonella vivace? Nelle foto che Facebook ci ripropone, sembra davvero che fossimo felici, compenetrati, padroni e strafottenti…

Stasera un anno, qualche tempo dopo, la quarantena ci obbliga ad attuare programmi relativi a gruppi numericamente inferiori, a stanziare in zone domestiche reinventandone gli spazi e riscoprendone le funzioni. Addirittura di alcuni elettrodomestici, trascurati e lasciati “intonsi” da abitudini comode ma viziate, come quella di acquistare cibo precotto e preconfezionato quasi ogni giorno. La spesa giusta e non sul modello “provvista” fatta quotidianamente, anche all’ultimo momento, nel corso delle mattinate delle medesime giornate di festa e arrivando alla cassa, lasciando cadere un occhio distratto sulla cassiera, cassiere messo lì a servirci, piuttosto che insieme alla propria famiglia. Da qualche settimana, la famiglia dobbiamo frequentarla: per alcuni è un bene, per altri affatto; comunque si vive l’esigenza di doversi adattare, riscoprendosi favorevoli o contrari, ritrovandosi oppure definitivamente estranei.

Papa Francesco con la sua candida veste deroga alle straordinarie evenienze dell’Indulgenza Plenaria; ogni mattina come un curato di campagna, si sveglia presto e dice messa. E ci accarezza con la sua ironia, la schietta semplicità delle sue prediche, qualche volta arricchite di aneddoti goliardici, come quello del giovane che “lo rimprovera” di soffiare sul microfono senza mascherina …e lui, il Papa? Prende il telefono e lo chiama e gli promette di mandargli in dono la sua papalina candida, candida come l’innocenza di quel ragazzo che gli ha fatto tanta raccomandazione. Vi ricordate l’ultima volta che, durante una messa, non ci siamo sorpresi a pensare ad altro? Argomenti distanti, perfettamente incardinati in quel loop impazzito nel quale, come la grafica (solo quella) dell’uomo vitruviano siamo saldati? Egli tendeva verso la conoscenza: noi non abbiamo ben chiaro verso dove andare…

La mattina del 27 Marzo, recandomi con i cani in una piazza vicino casa mia (poco più dei 200 metri stabiliti dal decreto) mi sono imbattuta in un signore seduto al sole su una panchina, con un piccolo bianco barboncino sulle gambe: mascherina scivolata sotto il mento per poter prendere un po’ di sole: nell’intera piazza, eravamo solo noi due ed in minoranza rispetto agli animali. Rimasi a guardarlo ammirata come fosse un gruppo scultoreo, l’istantanea di un bravo fotografo: ebbi la consapevolezza che quella persona lì col cane in braccio non fosse affatto il ritratto della solitudine, bensì del ridimensionamento, del ritrovato sé, della gioia di vivere quel singolo istante di sole. Venni portata indientro ad una lettura di antologia italiana delle scuole medie che pressappoco doveva intitolarsi “il sole centellinato…” che narrava dell’abitudine dei popoli nordici di approfittare di ogni singolo istante di sole, uscendo a goderselo sulle panchine. Il pomeriggio della stessa giornata, Papa Francesco, in una piazza San Pietro insolitamente deserta, impartisce la benedizione “Urbi et Orbi” riscaldando i cuori di ogni uomo – anche di diversa confessione religiosa – con parole di speranza, ma anche di monito…” “avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: ‘Svegliati Signore!’” 

Quanto ci siamo sentiti piccoli e spaventati? Chi, durante la funzione, non ha avuto la fortuna di stringere le mani di una persona amata per dargli coraggio e chiedere rassicurazione, quanto si è sentito infinitamente impotente? Quanto è rimasto concentrato sulle parole del Papa e non si è allontanato da esse, da quelle immagini di Francesco che da solo attraversa la piazza, risale la scala, si sofferma davanti alla Madonna ed al Crocifisso della peste del ‘500? Nessuno si è distratto, nessuno.

Rispetto alla promessa mendace che ci siamo fatti di fermarci perché troppo stanchi, troppo presi, scatenati, sottoposti alla ridondante immagine di noi stessi in una moltitudine di specchi, è arrivata Lei, la Natura, ad infrangerli privandoci del Narciso che vive in noi, costringendoci a farci il colore a casa, nuovamente a metterci lo smalto sulle unghie con il gel assottigliato, ad utilizzare le macchinette per accorciarci i capelli. Ci ha schiaffeggiato facendo sì che si svuotassero le aree di festa e si riempissero gli ospedali: “Dio perdona sempre; l’Uomo qualche volta; la Natura, mai!” Lo ha detto lui, sempre lo stesso uomo che si è fatto Papa ricordando di restare umano.

Anche lui in quella circostanza, seduto da solo in adorazione del “Corpus Domini“, alle spalle il piazzale vuoto, reso traslucido dalla pioggia, anche il Papa, come il signore del cane sulla panchina della piazza vicino casa mia, non era solo.

Ho provato ad accostare le due figure (Papa Francesco non se ne avrà a male) in un montaggio fotografico e a proporlo sull’articolo, appunto per considerare insieme che quella non è solitudine, ma consapevolezza del sé negli spazi vincolati e scelti per esprimerla e non luoghi di fuga gremitissimi di niente.

Il Bene ed il Male, l’uno dentro l’altro si stanno esprimendo attraverso quelle categorie tanto additate o disdegnate: i medici, il personale sanitario, la polizia, i carabinieri, gli operatori ecologici, i corrieri, i cassieri. Finalmente queste sono state promosse e diventate degne di rispetto e riconosciute più utili; politici che si ricordano che sono stati votati per occuparsi davvero dei propri concittadini e si mettono di traverso decidendo di fare a modo proprio. Amministratori del Nord che mobilitano una città per raccogliere materiale da destinare a quei bambini carenti di mezzi, di un quartiere di una città del Sud che ha ospitato e curato malati del nord in fin di vita. Una rete di solidarietà che opera silenziosamente, prestando ascolto alle richieste di aiuto tutti i momenti, in special modo quelle mute, mettendo a disposizione mezzi propri.

Stasera è il 30 Aprile e fra poco sarà il I Maggio e il mondo è chiuso e niente sarà come l’anno passato. Sarà comunque la Festa dei Lavoratori, ma non per coloro che se il virus non li ha aggrediti nelle membra, li ha certamente afflitti nelle attività. Di contro, la Terra è nuovamente un posto più pulito, gli animali stanno riprendendosi i loro spazi, il grigiore costante su città come Wuhan e Milano si è diradato e l’uomo sembra aver capito due o tre cose: ad esempio di levare le sue mani assassine da tutto quello che si muove.

Questo è bello, no? L’anno prossimo Facebook ché ricordo ci proporrà? Non lo so…sicuramente quello di nuclei familiari, di gruppi di amici collegati in video-conferenza a guardarsi in viso, fare confusione a chi parla prima e ricordare la scampagnata del Primo maggio del 2019.

Sarà un’alba o un tramonto? Questa volta non dipenderà dal modo di osservare, bensì da ciò che dovremo fare, e assai presto…

 

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