Dal Ministero dell’Ambiente 30 milioni di euro per la riforestazione urbana. Il ruolo delle Città metropolitane

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Dal Ministero dell’Ambiente 30 milioni di euro per la riforestazione urbana. Il ruolo delle Città metropolitane

Il covid è una terribile occasione per riportare all’attenzione pubblica le connessioni tra salute e ambiente. Prevenire nuovi virus – affermano gli esperti – è una questione ecologica: bisogna migliorare l’ambiente, riequilibrare il clima, contrastare l’inquinamento, diffondere i boschi sino ai margini delle aree urbane.
Proprio a questo scopo lo scorso ottobre il Ministero dell’Ambiente ha diramato un avviso pubblico per avviare un programma sperimentale di riforestazione urbana.

Le Città Metropolitane potranno partecipare al progetto e beneficiare di uno stanziamento di 30 milioni di euro, fino al 2021, per poter dare ossigeno all’ambiente ed anche agli imprenditori che sapranno cogliere questa opportunità di sviluppo per uscire dall’asfissia della crisi.
Bologna, in tempo record, ha oggi presentato le sue proposte che saranno poi vagliate al Ministero dell’Ambiente.

I progetti che le Città metropolitane elaboreranno devono tenere conto del contesto storico. Nella provincia di Catania, in particolare, più che di riforestazione sarebbe più corretto parlare di rimboschimento. Nella zona etnea sino a qualche secolo fa non vi erano foreste ma boschi, accuditi e regolati dal lavoro dell’uomo per la produzione di legname, soprattutto castagno usato in edilizia, nautica e per la vinificazione. I numerosi villaggi a monte di Catania erano un tempo circondati da un bosco così fitto che faceva quasi da barriera, come rivela il vigente toponimo Barriera del Bosco, con la strada dei Due Obelischi che si inerpica ancora oggi verso la zona pedemontana. Il bosco di Jaci (ormai quasi estinto) e quello di Bronte (con i suoi querceti con dominanza di lecci e pistacchi) sono soltanto due degli antichi boschi etnei, un tempo celebri per la presenza del bagolaro (minicucco), albero ormai introvabile ma usato ancora nell’Ottocento per la qualità del suo legno dai molteplici usi.

Se la Città metropolitana di Catania, dovendo programmare la riforestazione urbana voluta dal Ministero, riprendesse in mano un vecchio volume che “fotografa” i boschi dell’Etna così come erano due secoli fa – il “Trattato dei boschi dell’Etna” pubblicato nel 1828 dopo accurati studi da Salvatore Scuderi, docente di Economia e commercio ed Agricoltura nell’ateneo catanese – si avvarrebbe un testo antico ma istruttivo, in cui vengono citate le varie specie arboree che oggi potrebbero essere ripiantate con il successo di una vigorosa e pronta vegetazione, in quanto tipici della zona etnea e ben adattati al terreno vulcanico.

Inoltre – e non da ultimo – si prenda spunto dal “Trattato dei boschi dell’Etna” per dire finalmente basta allo squallore, stop alle mono specie da rimboschimento, cioè agli alberi tutti uguali, piantati nei decenni scorsi dalla Forestale a righe e file come soldatini: è venuto il momento di dare varietà all’ecosistema e al nostro paesaggio etneo, tenendo anche conto delle esigenze dei pochi eroici pastori ed allevatori che continuano a mantenere in vita un comparto che potrebbe avere ben maggiori utili, se vi fosse una visione complessiva del legislatore, con la considerazione che i boschi ed i corsi d’acqua ben regolamentati sono un presidio contro le alluvioni e una fonte di lavoro e guadagno, adesso che anche al Sud c’è il fenomeno di un nuovo sviluppo rurale.

I progetti di riforestazione urbana, con ogni probabilità, proporranno il cambio di destinazione d’uso del suolo demaniale, riconvertendo a foresta o bosco terreni in cui boschi e foreste erano presenti fino ad epoca più o meno recente. Ciò non significherà di per sé un miglioramento complessivo. Infatti la presenza di una foresta o di un bosco ha valore soltanto se quei terreni demaniali diventeranno assetti fondiari collettivi, se avranno cioè le caratteristiche del bene comune, così come accadeva un tempo agli “usi civici”.
Il discorso a questo punto si fa complesso e si aggancia alle norme in materia di domini collettivi riconosciuti dalla una legge, la numero 168 del 20 novembre 2017, che riapre il dibattito sui beni collettivi e sul loro uso per la sussistenza e per lo svago.

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