IL CAPODANNO DEGLI ALBERI Rosh haShannah la’illanot (Riflessioni)

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IL CAPODANNO DEGLI ALBERI Rosh haShannah la’illanot (Riflessioni)

 

Sono passati ormai più di venticinque anni da quando una mattina di agosto “conobbi” un albero per la prima volta. Di alberi ne avevo visti ovviamente tanti, ma quel giorno ne conobbi uno “personalmente”. Era un carrubbo, che scelsi incoraggiato dall’ombra che produceva con i suoi rami e che creava contemporaneamente una volta di cielo verde.

Scelsi quell’albero per eseguire gli esercizi che giornalmente praticavo: un misto di pratiche “yoga” e di “lavoro” (come lo chiamava Gurdjeff), appresi in alcuni viaggi all’insegna della conoscenza e del lavoro su di sé.

Quel giorno gli esercizi ebbero un risultato differente e sorprendente rispetto alle altre volte; una diversa energia scorreva nel mio corpo, una nova scoperta, una nuova consapevolezza della mia struttura psicofisica e delle energie che l’attraversavano.

Mi alzai e mi sedetti di fronte, lo guardai, lo contemplai, lo respirai, ne colsi il gusto poggiandovi la bocca; ero sfinito per il duro “lavoro” esercitato ma, col passare dei minuti, iniziai a percepire più forza, avrei potuto ricominciare a rifare gli esercizi; un’ebbrezza ed un vigore pervasero la mia mente ed il mio fisico: da quel giorno l’albero ebbe per me un nuovo significato.

Fu così che col passare del tempo mi interessai sempre di più anche del valore simbolico dell’albero presente nei testi sacri. Ogni albero è come un angelo, nel significato simbolico del termine; è un messaggero ed una forza agente degli archetipi divini, con una propria caratteristica, una propria funzione, una propria qualità. Questo fu ed è tutt’oggi la mia relazione con gli alberi, ogni volta che io me lo ricordi.

Col passare degli anni, ho accolto con molto interesse le informazioni riguardanti la simbologia dell’albero in relazione all’uomo soprattutto nei testi sacri. L’albero appartiene a quel dono e ad a quella grazia che il Creatore ha messo a disposizione dell’uomo, fatto a Sua immagine e somiglianza: era cibo pure dove tutto era puro e in armonia.

I frutti degli alberi erano le qualità degli stessi per il beneficio dell’uomo, le qualità divine che venivano donate all’essere umano ogni qualvolta se ne volesse deliziare, tutto era puro e in amore.

Ecco come l’uomo riceveva forza e vitalità dagli alberi dai molteplici rami che hanno nel Cielo le proprie radici in quanto il loro principio illuminante, mentre i loro frutti sono rivolti alla terra per nutrirla e sostenerla.

Dopo la caduta, però, e dopo la conoscenza del male e del non amore, tutto cambiò: si iniziò a uccidere il simile, a uccidere gli animali, a mangiare senza ritegno di tutto e con voracità.

Nonostante tutto, l’albero rimase un simbolo di sacralità, un punto di riferimento, una speranza per il giusto, per colui che, desideroso e nostalgico di quella vita realizzata nella beatitudine, ha deciso di rispondere affermativamente al comandamento “ non uccidere”, ma ama e rispetta te stesso ed il prossimo, guardando con fiducia e speranza alla futura era messianica dove tutto l’ordine delle cose verrà ripristinato, dove non ci sarà più del male (Isayah 11,9).

Un germoglio spunta dal Tronco di Yeshay come riferimento al messia dell’Era Messianica.

L’albero rimane un punto fermo per l’uomo giusto: lo Tzadik, il giusto, è come un albero piantato lungo i corsi di acqua che dà frutto a suo tempo e riesce in tutto ciò che fa (Salmo 1 recitava Re Davide). Per questo motivo molti saggi di Israele davano e danno così tanta importanza agli alberi. Ho visto persino famiglie costruire la casa attorno ad un albero pur di non tagliarlo. Esso è una benedizione.

Già dai tempi dell’ invasione romana in Eretz Israel era usanza piantare un cedro per un maschio ed una acacia per una figlia femmina. Nel Cinquecento gli studiosi di Kabbalah, ritornati a Safed dopo l’espulsione dalla Spagna e dal Portogallo, avevano l’abitudine di piantare un albero al loro arrivo, e fu così nei secoli a seguire.

Per questo nacque Tu b’Shvat, il Capodanno degli Alberi, dove T (teith, valore numerico 9) e U ( waw, valore numerico 6) danno il numero quindici del mese di Shvat, cioè la fine delle grandi piogge e l’inizio del risveglio degli alberi.

Quest’anno è stato festeggiato nelle comunità ebraiche il 2 di febbraio in concomitanza con l’inizio dello Shabbat e dopo la teffilà (preghiera) si è concluso con il Seder, pasto comunitario con le relative benedizioni in preciso ordine per ogni frutto della terra e degli alberi mangiato.

Come dicono i kabbalisti: “quando mangiamo correttamente, possiamo assaggiare la Presenza Divina a prescindere se il gusto fisico è piacevole o meno”.

Così il Seder di Tu b’Shvat ci ha aiutato a sintonizzarci con l’aspetto sacro del cibo.

Si dice che il cibo può diventare come quello di Adamo ed Eva prima della loro caduta e contrazione spirituale. Dicono che la loro caduta e contrazione spirituale è avvenuta mangiando impulsivamente da un albero; possiamo quindi creare ed agevolare una elevazione ed espansione spirituale mangiando frutti nella consapevolezza e santità.

Nel seder (pasto della festa) si mangiano in modo meditativo quattro tipi di frutta: 1. noci (guscio non commestibile), il che rappresenta la dipendenza dal mangiare in modo impulsivo; 2. frutta morbida all’interno e all’esterno, ma col nocciolo duro, il che rappresenta il separarsi dal piacere voluttuoso del mangiare (con la pratica del digiuno); 3. frutta commestibile all’interno ed all’esterno, che rappresenta l’imparzialità in relazione al piacere del mangiare (qui si può raggiungere un livello spirituale in cui non siamo influenzati interiormente ed esteriormente dalle persone che ci facciano vergognare o lodare); 4. frutti che possono essere apprezzati anche solo con il loro profumo ed essenza e rappresentano la capacità di provare piacere nell’essenza divina presente nei cibi; è il piacere Santo.

Si dice che ognuno di noi può aspirare a questa gioia estatica anche in mezzo ai nostri bisogni e alle nostre preoccupazioni mondane. E questo perché la vitalità dell’anima umana deriva dal Cielo ed è lì che siamo chiamati tutti al ritorno attraverso anche lo scoprire la Presenza Divina nei frutti dell’Albero.

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