Ballate d’amore e di gelosia al Piccolo Teatro della città

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Ballate d’amore e di gelosia al Piccolo Teatro della città

CATANIA – Tre novelle della raccolta “Vite dei Campi” (pubblicata nel 1880 e poi nel 1887) mescolate in un abile adattamento compiuto con destrezza ed eleganza da Gianni Salvo e Maria Lina Ugolini (catanese, figlia d’arte, unisce all’attività di scrittrice, poetessa e contafiabe, quella di musicologa. Ha scritto vari saggi di carattere creativo).
Regia di Gianni Salvo; con Tiziana Bellassai, Giuseppe Carbone, Egle Doria, Nicola Alberto Orofino, Emanuele Puglia, Maria Rita Sgarlato; musiche originali di Pietro Cavalieri; luci e fonica di Simone Raimondo; produzione Teatro della Città.
La raccolta è la medesima a cui appartengono Rosso Malpelo, La Lupa, La Cavalleria Rusticana…
<<Pentolaccia aveva voluto sposare Venera sebbene sua madre la ritenesse inadatta al figlio perché porta la mantellina a mezza testa e fa vedere il piede quando va per strada…Ma lui ci aveva sempre pel capo quella scarpetta e gli occhi ladri che cercano il marito fuori della mantellina…
Chi non rispetta i genitori fa il suo malanno e la brutta fine…la povera vecchia morì col rammarico della mala riuscita che aveva la moglie di suo figlio…>> Pentolaccia non conosceva la gelosia, amava la quiete e l’armonia dell’astrazione che c’era nella sua vita perché non voleva sapere, non voleva vedere. <<Ora avvenne che questa pace degli angeli si mutò in una casa del diavolo, perché accadde che mentre dormiva dietro una siepe, udì due contadini che vennero per caso a leggergli la vita. Don Liborio, suo socio, amico e padrino di suo figlio altri non era che l’amante di sua moglie e che in grazia di questo bell’affare, a casa sua la pentola era sempre piena…la gelosia lo aggredì e trasformò un uomo tranquillo in un assassino. Così fu che Pentolaccia andò a finire in galera>>.
Peppa, la protagonista dell’Amante di Gramigna (la cui morbosa impronta passionale ispirò Visconti per tracciare i personaggi del film “Senso”)è definita dallo stesso Verga nelle pagine dell’introduzione che lo scrittore fa in forma di lettera all’amico Farina: «Un documento umano, come dicono oggi, interessante forse per te e per tutti coloro che studiano nel gran libro del cuore… Il semplice fatto umano farà pensare sempre: avrà sempre l’efficacia dell’essere stato, delle lacrime vere, delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne». La storia di Peppa è spontanea come un fatto naturale che non ha alcun punto di contatto col suo autore perché è una storia che si scrive da sé. Peppa è una bella ragazza di Licodia, innamorata di un’icona, un brigante chiamato Gramigna che nell’immaginario della giovane assume una fascinazione tale che la porterà a rinunciare a un buon e ricco matrimonio per vivere all’ombra di un prigioniero, per inseguire il quale rinuncerà pure alla maternità, povera ed etichettata dalle male lingue.
“Una sera di vento e pioggia, vero tempo da lupi, Lollo capitò all’improvviso a casa, come la mala nuova. Picchiò prima pian piano, infine si decise ad entrare, giallo al par dello zafferano e tutto grondante d’acqua…e a quell’ora insolita, sua moglie poveretta cominciò a tremare come una foglia…c’è un lupo qua vicino voglio pigliarlo…s’è visto Michelangelo? Gli ho chiesto di scavare una fossa, una bella grande…non aver paura. Voglio pigliarlo in trappola senza rischiarci la pelle…sarebbe bella?…con chi viene a rubavi il fatto vostro!>> Lollo esce di casa serrando l’uscio e si allontana nella tormenta…Michelangelo e la donna chiusi dentro si sentono in trappola e senza via d’uscita…
Gianni Salvo e Lina Maria Ugolini hanno compiuto una pregiata operazione mettendo in scena sei bravissimi attori che nel palcoscenico privo di distacco rispetto alla platea del Piccolo, si sono agilmente mossi, cantando e ballando attorno ad una pedana che costituisce l’unico attrezzo di scena e sintetizza vari ambienti, come un contro palco, unico baricentro di ognuna delle tre storie che (come appare evidente nella lettura di “Vita da Campi”) è immersa in una sorta di oscurità propria dell’animo dei protagonisti, vinti e sconfitti da un’ esistenza sulla quale non sembra mai sorgere il sole, aprirsi un varco nella spossatezza generata da un lavoro faticoso ed irriconoscente. La stessa luce che non rischiara le esistenze non sorge neppure sui luoghi in cui si svolgono le vicende; case povere e fredde, campi brulli, luoghi umidi. Sebbene Venera, Peppa e Lollo sembrano essere loro gli artefici del proprio destino, sembrano essere autonomi nello scegliere una strada lastricata ora di malizia, ora di passione cieca ora di furberia sadica, restano per il Verga sempre strumenti di un destino arido e fredda: la vita sociale ed economica in Sicilia alla fine dell’800, dopo l’Unità d’Italia, era dura e faticosa e Verga non sembra voler fare sconti neppure nella trasposizione letteraria a quella povera gente. Ecco così, che gli attori riescono a rendere in un’assenza di arredi di scena, i campi incolti, la nottata tempestosa di Lollo, la voragine che inghiottirà la vita di Don Liborio e la sorte di Pentolaccia…presso un uscio incautamente attraversato, la passione che trascinerà nella solitudine l’amante di Gramigna. In un’esistenza sempre uguale, sul cui completamento della giornata non gioca mai la sorpresa, l’imprevisto generoso ed inaspettato, si mettono in moto sentimenti bestiali che i protagonisti asseconderanno, girando intorno a quella pedana, parodia della zattera a cui aggrapparsi, ballando e cantando, ma che porterà le stesse esistenze lontano dalla terra ferma, lontano dalle certezze. E poi, la sopraffazione…

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