A Misterbianco “passaggio di proprietà” dalle mani umane a quelle divine

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A Misterbianco “passaggio di proprietà” dalle mani umane a quelle divine

Appena ho saputo che sabato 26 giugno alle 18.30 l’arcivescovo Salvatore Gristina celebrerà a Misterbianco il Rito di Dedicazione e Consacrazione della chiesa parrocchiale S. Maria delle Grazie mi sono chiesta: la chiesa era forse sconsacrata?
Non sapendo rispondere ho approfondito la questione da un punto di vista storico ed ho appreso che il raro rituale che si svolgerà nella chiesa made di Misterbianco è di straordinaria importanza simbolica, in quanto la solenne celebrazione di dedicazione e consacrazione è una sorta di “passaggio di proprietà” dell’edificio di culto dalle mani umane e quelle divine.

Non so oggi, ma un tempo, prima del Concilio Vaticano II, la liturgia di dedicazione e consacrazione era complessa e richiedeva molte ore. La descrive dettagliatamente Scipione de’ Ricci (il celebre giansenista), vescovo di Pistoia e Prato dal 1780 al 1791, in una pubblicazione del 1788, in cui rammenta che riti simili erano già presenti nella storia del popolo di Israele. L’Antico testamento offre numerosi esempi di cerimonie di purificazione, che influenzarono poi le successive pratiche di religiosità. Nei primi secoli della cristianità si mantennero la maggior parte di queste sacre funzioni, che proseguirono nei secoli con varietà di cerimonie: grande importanza fu però sempre data alle preghiere e ai canti che accompagnavano questa sacra funzione.

Scipione de’ Ricci prescrive cosa deve fare il vescovo prima di consacrare un edificio di culto. Sul perimetro esterno della chiesa si formano 12 croci, davanti alle quali si accendono 12 lumini, simbolo dei 12 apostoli che portarono per tutta la terra la luce del Vangelo. Per tre volte il vescovo e gli officianti girano intorno ai muri esterni “benedicendo con esorcismo le pareti per allontanare le infestazioni del demonio, il quale dappertutto tenta di impedire il bene se non è respinto coll’orazione, e con la fede”.

Più volte il vescovo bussa con il pastorale alla porta della chiesa. Alla fine entra ma è seguito soltanto da una piccola parte di fedeli (e qui si intravede l’influenza della dottrina di S. Agostino sulla predestinazione dell’uomo e la negazione del libero arbitrio fatta propria dai giansenisti). Sul pavimento della chiesa si forma una grande croce con le lettere dell’alfabeto greco e latino, a significare che Gesù Cristo riunì nella sua chiesa tutti i popoli di ogni linguaggio.

Acqua, vino, cenere e sale vengono benedetti: essi sono simbolo rispettivamente dell’umanità di Gesù Cristo e della sua vita, morte e resurrezione. Le reliquie dei santi sono nascoste sotto l’altare della chiesa, mentre tutto attorno l’incenso brucia per tutto il tempo che continua la solenne celebrazione: come il fumo va verso l’alto, così le preghiere dei fedeli dalla Terra salgono al Cielo. Le pareti interne della chiesa vengono benedette con ben definiti passaggi, facendo attenzione ai movimenti da destra a sinistra e viceversa. “Ecco il segno della croce, fuggono tutti i fantasmi” recita il vescovo nel momento più solenne della consacrazione.

Il rito simbolico “dell’esorcismo”, fatto dal vescovo sotto gli occhi del popolo dei fedeli, così come viene descritto da Scipione de’ Ricci fornisce una miniera di informazioni per chi considera questi antichi riti oggetto di studio e di ricerca scientifica per conoscere le pratiche devozionali giunte sino ai nostri giorni.

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