“È come andare a teatro, solo che qui la tragedia la paghiamo noi cittadini”. Questo il commento amaro che circola tra le persone all’indomani della decisione del Tribunale di Catania di dichiararsi incompetente sul processo “Psn”, lo scandalo che due anni fa aveva travolto politica e sanità etnea.
Il collegio presieduto da Consuelo Corrao ha accolto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa: i faldoni ora passeranno a Palermo, con altri due mesi di attesa per la stesura delle motivazioni. Ma per l’opinione pubblica si tratta di un déjà vu: “Com’è possibile che ci si accorga solo adesso che i reati sarebbero stati commessi a Palermo? – si chiedono in tanti –. Non lo sapevano i magistrati sin dall’inizio? O si è voluto solo perdere tempo?”.
Il sospetto che aleggia tra i cittadini è quello della prescrizione: un meccanismo di rimbalzi, eccezioni e rinvii che rischia di svuotare di sostanza l’inchiesta che aveva fatto scalpore, con intercettazioni, nomine pilotate e fondi pubblici gestiti come bottino politico. “È tutto un gioco delle parti – commentano alcuni avvocati fuori microfono –: si sa che più si allungano i tempi, più le accuse si sgretolano”.
La vicenda appare dunque agli occhi della gente come l’ennesima occasione persa. L’operazione dei carabinieri di Catania aveva scoperchiato un presunto sistema di corruzione e turbative, ma oggi l’impressione è che il “teatro giudiziario” stia prendendo il sopravvento.
“Ecco perché la fiducia nella magistratura viene sempre meno – è la voce comune che serpeggia tra i cittadini –. Quando si tratta di persone potenti o di nomi noti, tutto si complica, tutto si sposta, tutto si allunga. Alla fine chi paga davvero sono solo i cittadini, che vedono la giustizia trasformata in un palcoscenico dove la verità non arriva mai al sipario”.
