Uno dei principi che consentono la vita di noi uomini è il principio di identità, cioè il fatto che ciascuno di noi sa chi è. Detta così sembra una banalità: certo che so chi sono io, viene subito da dire! Eppure se non si è consci della propria identità si muore: pensate ai malati di Alzheimer che, nella fase finale della malattia, smettono di sapere chi sono e muoiono.
Sapere chi si è ci consente di stare nel mondo, in famiglia, al lavoro, nella società, potremmo dire anche nell’Universo; sapere chi siamo ci dà sicurezza e ci consente di vivere. L’identità ci viene data dai genitori, dalla famiglia e dall’intera società che ci caratterizza e ci dà una precisa collocazione che è assieme topografica, storica e spirituale.
Costituente della nostra identità è la tradizione. Che cosa è la tradizione?
Viene dal latino, dal verbo “tradere” cioè consegnare; e non è altro che la consegna che le passate generazioni fanno a ciascuno di noi degli elementi che compongono la nostra identità così importante per la nostra sopravvivenza. Sicché chi si adopera per la “consegna” di questi elementi identitari può annoverarsi tra i benemeriti dell’Umanità!
A Catania, l’altra sera un gruppo di “benemeriti”, ottimi musici e ottimi cantori, che si fanno chiamare “I Triquetra” (Viviana Zappala’, Salvo Pappalardo, Franco Leonardi, Mimmo Aloisio) valorosi ricercatori professionali di musiche antiche della tradizione siciliana, capitanati da Carmelo Sapienza, hanno dato vita al Teatro “Sipario Blu” all’avvincente spettacolo “Gli antichi mestieri e i canti nel lavoro e il lavoro nei canti”, accompagnati dalla vivace e appassionata voce di Gianni Sineri, attore e artista poliedrico, aedo dell’antica tradizione epica e popolare catanese, prezioso cantore di storie, luoghi e modi di vita pressoché scomparsi “fisicamente”, ma vivi e presenti nell’anima di ogni catanese.
Durante lo spettacolo si sono susseguiti musiche, canzoni antiche – alcune del tutto dimenticate – sketch di cabaret, cunti, proverbi, miniminagghi, modi di dire, modi di essere e tanto altro, aventi per oggetto gli antichi mestieri della tradizione siciliana oramai scomparsi (l’acquaiolo, u mastru ‘rascia, u siggiaru, u cavvunaru, solo per citarne alcuni) sciorinati, interpretati e sceneggiati dal vulcanico Gianni Sineri vissuto tra le tavole del palcoscenico in quanto figlio della grande coppia nella vita e in teatro Ciccino Sineri e Sara Micalizzi, per sessant’anni punto di riferimento del teatro popolare catanese.
Lo spettacolo ha tenuto inchiodati gli spettatori per quasi tre ore alla poltrona, con applausi continui e ripetuti, con qualche lacrimuccia qui e là a sottolineare un motivo ascoltato da bambino, dalla voce della mamma o della nonna.
Operazioni culturali di questo tipo andrebbero diffuse tra i giovani, nelle scuole e nei luoghi dove essi si aggregano affinché essi possano conoscere meglio le loro radici e con esse conoscer meglio se stessi.