Ancora una volta il calcio italiano è stato oscurato non dal gioco, ma dalla violenza. Il derby tra Lazio e Roma, uno degli eventi sportivi più sentiti e attesi nella Capitale, si è trasformato oggi in un teatro di scontri tra tifoserie, costringendo le forze dell’ordine a intervenire con fermezza e lasciando dietro di sé un bilancio fatto di feriti, paura e disillusione.
L’Associazione dei Consumatori d’Italia Consitalia ha lanciato un appello forte e simbolico: sospendere il campionato di calcio come sanzione morale e civile contro questi comportamenti. Una proposta che fa discutere, ma che merita di essere ascoltata, perché pone una domanda cruciale: fino a quando lo sport potrà essere ostaggio della violenza?
Il diritto alla sicurezza: un bene inviolabile
La Costituzione Italiana, all’articolo 3, garantisce l’uguaglianza e la pari dignità sociale di tutti i cittadini, senza distinzione. Ma questa uguaglianza presuppone anche il rispetto reciproco e la possibilità di vivere in sicurezza ogni ambito della vita pubblica, comprese le manifestazioni sportive. Quando un evento sportivo diventa occasione di pericolo, si viola un diritto fondamentale: quello alla sicurezza individuale e collettiva (art. 2 Cost.).
Non è solo una questione di ordine pubblico, ma di diritti civili: le famiglie, i bambini, gli appassionati dovrebbero poter accedere a uno stadio senza paura. La violenza negli stadi mina la fiducia nelle istituzioni, nelle forze dell’ordine, nello sport stesso.
Lo sport come veicolo di educazione civica
L’art. 9 della nostra Costituzione afferma che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Ma la cultura non è solo quella dei libri: è anche cultura civica, rispetto delle regole, convivenza pacifica. E in questo, lo sport ha un ruolo educativo primario. O dovrebbe averlo.
Nel momento in cui il calcio diventa espressione di tribalismo, odio e violenza, viene meno la sua funzione educativa. Invece di unire, divide. Invece di insegnare il rispetto per l’avversario, lo trasforma in nemico. Questo è un fallimento, non solo per le società sportive, ma anche per le istituzioni e per l’intero sistema educativo.
Una sospensione simbolica, ma potente
L’idea di sospendere il campionato può apparire estrema, ma rappresenta un gesto forte, una sanzione morale contro una degenerazione che va fermata. Come accade per le sanzioni penali, lo scopo non è solo punitivo, ma anche rieducativo e preventivo. Un segnale che lo Stato non è più disposto a tollerare che uno sport così amato diventi pretesto per violenza gratuita.
L’art. 97 della Costituzione sancisce il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. Anche la gestione dell’ordine pubblico durante eventi sportivi rientra in questo principio. Se si arriva al punto in cui la sicurezza dei cittadini non può più essere garantita, lo Stato ha il dovere di intervenire con fermezza.
Conclusione: oltre il tifo, la responsabilità civile
Non si tratta di demonizzare i tifosi o il calcio. Si tratta di recuperare il senso civico, la responsabilità collettiva. Ogni cittadino ha il dovere di contribuire al benessere della comunità (art. 4, comma 2 Cost.). Ogni gesto violento allo stadio è una ferita inferta non solo alla vittima diretta, ma all’intero corpo sociale.
Il calcio è un patrimonio culturale e popolare dell’Italia. Ma non può continuare a essere terreno fertile per l’inciviltà. È ora di scegliere: vogliamo uno sport che insegna o uno che distrugge? La risposta non può più essere rinviata.