“L’Ispettore Generale” di Nikolaj Vasil’evič Gogol: “Un funzionario è qui giunto per ordine dello Zar…”

“L’Ispettore Generale” di Nikolaj Vasil’evič Gogol: “Un funzionario è qui giunto per ordine dello Zar…”

“L’Ispettore Generale” di Nikolaj Gogol, adattamento e regia di Leo Muscato.

Scene Andrea Belli, costumi Margherita Baldoni, luci Alessandro Verazzi. Musiche originali Andrea Chenna. Foto di Tommaso Le Pera.

Con Rocco Papaleo (Podestà) e, in ordine di apparizione, Elena Aimone (medico, vedova, cameriera), Giulio Baraldi (Osip), Letizia Bravi (figlia del podestà), Marco Brinzi (ufficiale postale), Michele Cipriani (Bobcinskij), Salvatore Cutrì (attendente, mercante), Marta Dalla Via (moglie del podestà), Marco Gobetti (giudice), Daniele Marmi (Chlestakov), Michele Schiano di Cola (Dobcinskij) e Marco Vergani (direttore scolastico).

Produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e TSV – Teatro Nazionale.

ll cartellone della trasposizione teatrale del racconto, scritto da un giovane Gogol nel 1836, raffigurante il primo piano del protagonista increspato da un velo di ghiaccio, costituisce di per sé un richiamo iconico, degno della migliore comunicazione pubblicitaria visiva. A ciò, si aggiunge, l’euforia sollecitata dalla presenza di Rocco Papaleo, attore che personalmente già nel 1996 aveva richiamato fra tutti la mia attenzione in Ferie d’Agosto, amando il suo carabiniere indolente al caldo e piuttosto preoccupato di dover avviare indagini in quel clima torrido; poi rapita dall’ umanissimo psicologo nel 2004 in “Cuore contro cuore”; definitivamente conquistata nel 2010 da “Basilicata Coast to Coast”, sua opera prima come regista, in cui scopro che l’attore è anche un raffinato e competente musicista ed apprezzo il manifesto di una regione poco considerata come la Basilicata, ancor prima che Mariolina Venezia scrivesse “Imma Tataranni”.

Il teatro, si sa, non prevede repliche di una posa e se errore non c’è, e la fluidità in crescendo inchioda lo spettatore alla poltrona, deve significare davvero che ci troviamo di fronte ad un grande attore, umile al punto che al momento degli applausi non conquista la posizione di centro dividendo in due il nutrito gruppo di interpreti, ma piuttosto si colloca presso il primo ordine di quinte.

Le scene di Andrea Belli e le luci di Alessandro Verazzi esprimono istantanee di habitat dalle linee rigide ed essenziali dei villaggi russi, sprofondati nella neve e tutti distribuiti su un’unica strada che collega abitazioni, uffici, scuola; l’illuminazione è sincera, curata come se provenisse davvero dalle lampade ad olio. La scenografia rende il concetto immaginario della “pozzanghera” che è il modo di Gogol di descrivere la sua città immaginaria (Mirgorod) e l’installazione mobile al centro del palcoscenico – che accoglie l’ufficio del Podestà, e poi la sua casa e la pensione – conferma il concetto gogoliano di capovolgimento universale. Anche questa realizzata con linee severe e grigie che, nel contrasto di toni, magnificano gli abiti scelti con cura da Margherita Baldoni che ha saputo distinguere fra i personaggi, assegnando a ciascuno il proprio costume.

La regia di Leo Muscato merita accenti di gratitudine: regista e drammaturgo pugliese di Martina Franca, recita la sua pagina web “ha studiato regia presso la Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano. La sua carriera, attiva sia nell’opera che nella prosa, conta oltre ottanta messe in scena.”  Ha intuito per “l’Ispettore Generale” una recitazione ed uno sviluppo narrativo compatti che si muovono in blocco, definendo onde con uguali creste e risacche; un’orchestrazione vera e propria che genera un climax che raggiunge l’apice attraverso una serie di scene/siparietti che risultano autentici gioelli di comicità. I quattordici sul palcoscenico sono perfetti, ogni attore è anche l’altro, lo spazio di ruolo è impercettibile: come in un gioco del Domino, ciascuno poggiandosi sull’altro, nel cambio di passo offre il braccio e disegna un quadro d’insieme perfetto.  Leo Muscato dipana con maestria le matasse dell’equivoco e del paradosso, le bizzarrie di una scalcinata comunità di periferia, le cui figure istituzionali soggiocate totalmente dall’arbitraggio normativo, si catapultano con tutti i loro pesanti abiti e gradi alcolici sempre piuttosto alti in un gigantesco e grottesco malinteso, rimanendo infine intrappolati dai propri illeciti giochini di prestigio.

 

All’inverso esatto di ciò che  accadde a Gogol quando, nel 1828 all’età di diciannove anni arriva a Pietroburgo dalla spenta provincia ucraina, “affaccia il naso volpigno dalla carrozza” e rimane affascinato “dallo sfolgorio, dai rumori e dalle luci“, ne “L’Ispettore generale” giunge in un paesino di provincia una carrozza dalla quale scendono Chlestakov e il suo domestico alla ricerca di un rifugio, dal momento che durante il viaggio il vizietto del gioco aveva prosciugato le loro casse. Avendo, l’ufficiale postale, in un clima di generale sospetto, l’abitudine di impicciare il naso nelle lettere in entrata ed in uscita, ne intercetta una che annuncia l’arrivo di un ispettore, in accordo con l’istituzione nel 1826 della Terza sezione della Cancelleria privata di Sua Maestà Imperiale, lo Zar Nicola I, per accerchiare e neutralizzare i moti decrabristi insorti nel dicembre dell’anno precedente a San Pietroburgo per mano di nobili e borghesi. Il Podestà (Rocco Papaleo), cosciente di avere alcuni “peccatucci” da tenere ben nascosti (ad esempio, uso privato del denaro pubblico e opere sociali mai realizzate), si fa suggestionare talmente dalla circostanza, da credere come tutti che il giovane scapestrato accompagnato dal proprio servitore sia l’inviato dalla Polizia politica di Pietroburgo. Chlestakov (Daniele Marmi), avezzo al gioco d’azzardo, riesce a trasformare l’equivoco in un cospicuo vantaggio per sé e il proprio domestico. Finale a sorpresa!

Gogol aveva dentro di s

èun universo di emozioni, di curiosità inquiete che non riuscì mai a qualificare se non dando loro forme vive per mezzo della scrittura parlata,  (attingendo alla tradizione dello Skaz), lo scorrere degli eventi che “ascoltava” come spettatore pavido ed incerto, descrivendo gli umili, antieroi avviliti dal clima di controllo degli anni della soppressione dell’idea, della omologazione intellettuale e culturale. Attraverso i suoi personaggi favolosi, manifesta i propri timori: di perdere il naso/identità, che il suo nome venisse dimenticato, che il tentativo di scalare le classi sociali si perdesse miseramente. inghiottito da una società controllata che avvilisce qualsiasi slancio. E a distanza di duecento anni, si può affermare che la sua grandezza, l’attualità dei personaggi, la semplicità delle storie narrate con una sconcertante bravura stilistica, costituiscono la sua incontrastata aura di grandezza: temendo di dire, descrive con puntualità la negatività dei tempi, l’aridità dell’anima della gente.

Grazie ad un regista tanto saggio da adempiere al progetto gogoliano, ad una equipe tecnica che riesce a scorporare un’iconografia corretta dalle atmosfere dei luoghi, dalle caratteristiche somatiche dei protagonisti e ad un gruppo di attori sincronizzati e sintonizzati, l’Ispettore Generale è un tributo al Maestro e un’offerta di gioia per il pubblico, purtroppo avezzo alle soluzioni banali dello “star system” che ingoia ogni sforzo creativo realistico per favorire uno sbigliettamento facile e rendere incoscente lo spettatore.

Al Teatro Stabile di Catania, dal 25 febbraio al 2 marzo, lo spettacolo prosegue per altre date siciliane a Modica, l’8 e il 9 marzo. L’11 marzo sarà a Lamezia Terme e dal 14 al 15 marzo a Bologna.

 

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