I Magistrati dell’ANM: Un Corpo Istituzionale Offuscato da Riflessioni Corporative?

I Magistrati dell’ANM: Un Corpo Istituzionale Offuscato da Riflessioni Corporative?

Gli aderenti all’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) sembrano oggi agire come se fossero intrappolati in una sorta di riflesso pavloviano legato alla difesa della propria corporazione. Una reazione automatica e quasi cieca che non sembra tenere conto dell’evoluzione e delle necessità di riforma nel sistema giudiziario italiano. In un momento cruciale per la giustizia del nostro paese, questi magistrati sembrano paradossalmente contrari a un provvedimento che, se non seguito da un cambiamento complessivo, potrebbe finire per accrescere il loro potere, anziché diminuirlo.

La riflessione è amara e, forse, provocatoria. I magistrati, in un certo senso, dovrebbero essere i primi a sostenere le riforme, consapevoli che esse porterebbero a una giustizia più equa ed efficiente, ma anche a una maggiore chiarezza nelle loro funzioni e prerogative. Eppure, molti di loro appaiono più preoccupati per l’eventuale indebolimento del loro potere, come se la protezione della propria posizione fosse prioritaria rispetto al bene collettivo.

A questa visione si potrebbe contrapporre l’idea descritta da Leonardo Sciascia in uno dei suoi racconti: quella di un magistrato che, pur riconoscendo le proprie carenze (come la scarsa padronanza dell’italiano), si giustifica con il fatto che, nonostante tutto, è riuscito ad arrivare dove è arrivato. L’insegnante, tuttavia, gli risponde che il problema non è tanto la conoscenza della lingua, ma la capacità di ragionare. “Con meno italiano ancora avrebbe fatto maggiore carriera”, dice Sciascia, sottolineando che una carriera basata solo su mere apparenze o difese corporative non è un obiettivo nobile né per un magistrato né per una società giusta.

In effetti, l’ANM, come corpo istituzionale, sembra oggi divisa tra la difesa dei propri membri e la necessità di riformare un sistema che, purtroppo, è ancora molto lontano dall’essere perfetto. Piuttosto che concentrarsi su difese che appaiono più ideologiche che pratiche, sarebbe utile che i magistrati si chiedessero se le riforme non possano, in realtà, conferire loro maggiore legittimità, rafforzando la loro indipendenza e la loro autorevolezza agli occhi dei cittadini.

Per questo, serve andare oltre la logica corporativa e puntare a una vera riforma della giustizia, che non solo risolva i problemi legati alla lentezza dei processi e alla farraginosità delle strutture giudiziarie, ma che definisca anche un nuovo rapporto tra la magistratura e la società, ridando fiducia e speranza ai cittadini. Non è più tempo di difese ad oltranza, ma di coraggio nel prendere decisioni che siano davvero a beneficio della collettività.

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