Orazio Coco: un artista come pochi

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Orazio Coco: un artista come pochi

Oggi, parlare d’arte è diventato di moda. Ma l’arte può essere considerata una tendenza del momento? Assolutamente no! Noi Italiani, con le arti, ci conviviamo quasi dall’inizio dei tempi, grandi opere che non conoscono il verbo passato. I monumenti, i quadri, le sculture restano lì, a farsi ammirare in tutto il loro splendore, permanendo nei secoli e nei millenni. Troppo spesso, infatti, dimentichiamo periodi come il Rinascimento, che diede lustro a tanti artisti ed alle loro opere. Tuttavia, non dimentichiamo solo, periodi riguardanti la nostra cultura storico-artistica, ma ignoriamo quasi completamente artisti che, ieri come oggi gridano e creano l’arte per lanciare messaggi importanti alla nostra società, povera oramai di valori umani. Uno di questi maestri d’arte è: Orazio Coco, catanese, scultore e figlio d’arte. Come artista ha sentito la necessità di dare vita ad un progetto, che vuole parlare alle vecchie e nuove generazioni di valori di coscenza personale. Scambiamo due chiacchiere con il maestro Coco, conoscendo nel dettaglio, la sua voglia di sfidare la società odierna, con il suo “Esercito della speranza”.

Domanda: Orazio, chi le ha trasmesso l’amore per le arti in generale, ma sopratutto per la scultura?
Risposta: Mio padre era uno scultore ed un insegnante. Erano gli anni settanta e a Catania, c’era un bel fermento artistico. Casa mia era piena di colori, fogli, argilla e strumenti musicali. Quando da piccolo non andavo a scuola, passavo la giornata a riprodurre a modo mio i grandi capolavori dell’arte. Ancora oggi ritengo che quelle siano le mie opere migliori. Nel tempo ho scelto la scultura tra le varie tecniche d’espressone artistica perché mi piacciono le forme tridimensionali, mi piace toccare e girare attorno all’opera, scoprire come la forma condiziona la luce. La scultura ha la capacità straordinaria di essere opera in movimento nonostante la sua apparente immobilità.

D: Quando ha capito di essere un’artista?
R: Quando ho sentito forte dentro di me la necessità di abbandonare tutto e tornare all’arte. Ero un ufficiale dell’esercito, ma mi sentivo incompleto e mi sembrava un paradosso imbracciare un’arma per andare a fare le missioni di pace. Bisognava invece cominciare ad educare i giovani ai valori fin dai banchi di scuola. Così ho preferito dedicarmi all’insegnamento delle discipline plastiche e scultoree. Credo che tutto il mio percorso di vita ed artistico, mi abbia condotto in maniera inesorabile all’Esercito della speranza.

D: Perché ha sentito la necessità di creare un progetto: artistico-terapeutico, così importante e delicato nel suo genere?
R: Quando è nata mia figlia Tecla passavo molto tempo ad osservarla mentre giocava o si relazionava con adulti e bambini o anche semplicemente stava a fissare qualcosa che aveva tra le mani. Mi affascinava l’armonia de suoi movimenti e la naturalità dei suoi comportamenti. Mi colpiva soprattutto il fatto che i nostri mondi, quello degli adulti affaticati dal vivere e quello dei bambini pieni di energia inesauribile, sembravano così distanti anche se tutti noi eravamo necessariamente stati bambini. Ed una domanda mi si poneva come genitore: quale mondo avremmo consegnato a quei bambini innocenti? I bambini si fidano di noi, a tal punto da chiederci di prenderli in braccio e sostenerli senza farli cadere. Così è nata la prima scultura dell’Esercito della speranza: una bambina che alza le braccia con fiducia verso i suoi genitori. La virtù della Fiducia ha innescato in me il desiderio di, continuare a cercare nei bambini quei valori che noi adulti avevamo perso da qualche parte in questo cammino e che invece erano necessari per la convivenza civile.

D: Qual è il messaggio che vuole fare arrivare?
R: Sembra quasi fuori moda parlare di valori e ritornare al figurativo perché oggi, l’arte deve fare clamore. Ma questo è avvenuto perché l’arte ha perso la sua funzione morale e, l’artista il suo ruolo di guida. Io ripropongo un approccio alla scultura che è stato dimenticato, come sono stati dimenticati i valori; così l’esercito della speranza diventa, oltre che un contenitore di virtù, un movimento contro la massificazione ed il consumismo. La responsabilità guida il mio esercito di bambini e punta il dito contro ognuno di noi. La fiducia dell’altro ci esorta ad un cambiamento. Il senso della colpa ci ammonisce sulle conseguenze dei nostri errori. Il perdono aiuta a riaprire il dialogo. La conoscenza supportata dalla coscienza ci invita a riflettere. La solidarietà unisce tutti gli uomini nell’impegno attivo e gratuito verso gli altri.

D: Esistono valori morali?
R: No, oggi non esistono valori. Tutta la cultura del mondo occidentale e le nostre azioni sono condizionate dal business. Per questo motivo la mia mostra è sempre stata ad ingresso gratuito. Tuttavia ritengo che la società sia pronta per un messaggio di semplicità, anzi lo attenda.

D: Crede sia possibile, sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso l’arte?
R: E’ lo scopo che mi sono prefisso, da quando sono tornato a dedicarmi all’arte. Come avveniva nei popoli primitivi, l’artista deve avere un ruolo educativo e l’arte deve essere al servizio della comunità. Oggi invece l’arte sembra essere solo un mezzo per diventare ricchi. Tutti vogliono diventare ricchi. Io invece vorrei un mondo ricco…di virtù.

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