Franco Barbato sui volti dei mille volti

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Franco Barbato sui volti dei mille volti

Stai ultimando un ciclo di dipinti che hanno per filo conduttore il volto umano.  Perché hai intitolato questo ciclo di opere “I mille volti dell’umanità”?

Il volto per me rappresenta lo specchio dell’anima, dove riscontro mille sfaccettature, ma anche mille contraddizioni, tra il bene e il male. Metaforicamente, “mille”  è il numero, e le contraddizioni più profonde tra l’individuo e la società stanno in un interfacciarsi che nuoce l’umano, e che è fatto di sopraffazione del male, e dove noi tutti ci siamo persi nel guardare quella luce che ci appartiene come luce del bene.

Questa tua risposta, ovvero questo tuo sentire la realtà che ti circonda, sa di profondo dolore, vero?

Sì, sa di dolore, ma anche di consapevolezza nel guardare oltre a molti che non riescono a guardare perché non usano il cuore. Il dolore è nel nostro karma, ma molto spesso diamo priorità a questo karma, dico dolore, e non diamo priorità a quello che più prevale dentro di noi, e che ci appartiene profondamente, che è il bene.

Ed è quello che ci insegnano le religioni?

Non solo quello che ci insegnano le religioni, ma il fatto che la nostra esistenza è legata al mistero, e quindi, ancor prima delle religioni per me viene il mistero della vita. E se dico mistero, il mistero per me rappresenta la bellezza in assoluto, di tutto quello che noi guardiamo e sentiamo, in un modo profondamente positivo. E per quanto riguarda il male, penso che sia proprio un meccanismo dell’umano che fa scattare questa mancanza del sacro, che sta in ogni mistero.

E quindi la tua pittura è una “caccia” esistenziale al mistero?           

Più che “caccia esistenziale” è vivere il mistero; è un qualcosa di cui non bisogna chiedersi, ma viverlo. E qui possiamo tornare indietro nella fanciullezza, nella purezza, a vivere come persone proiettate nel bene.

Colpisce nei tuoi quadri la grammatica del colore e della forma che vivono di vita vera. Quale è il tuo approccio creativo?

Per quanto riguarda la grammatica, è qualcosa che ho dentro di me, ma che ho abbandonato da anni. Essa però vive dentro di me, come un’acquisizione dell’ inconscio, ed è nel momento creativo che vengono fuori queste figure, che sono all’interno della tela, ricercate, trovate, da me vissute, a cui ho dato un’anima, un’anima molto spesso che attraverso la materia racconta il dolore esistenziale.

Quindi, tu la figura che andrai a dipingere, la vivi come una presenza che ti invita a confidenze profondamente intime, dove c’è il dialogo tra l’interlocutore e l’autore?

Esattamente, è così, è un rapporto ininterrotto instaurato spiritualmente, o meglio, misteriosamente, per lanciare un messaggio a coloro che si sono persi e non ritrovano molto spesso la loro strada, per farli riflettere, per far tornare loro alla loro natura, di quello che sono sempre stati, come esseri umani dai sentimenti puri. È qui che possiamo contribuire ad una società ormai sempre più virtuale e poco reale ad essere migliorata per una serenità interiore a noi più propria, dove le leggi dell’anima sono più profonde delle leggi del sistema.

Tu credi, quindi, nelle leggi interiori del ripristino dell’equilibrio dell’anima?

Certo, è proprio quello che vince. Come un valore puro, come la radice di un albero, che se la stronchi, non vive più. Quindi, è la vita vera, e non la dipendenza che ti impone a fare molto spesso ciò che tu non vuoi fare, e reprimi quello che dentro di te vorrebbe esprimersi con armonia per trovare la dimensione  della propria felicità.

Quanto è importante per te la ricerca artistica?

Per me è importante avere una conoscenza grammaticale della pittura,  ma più importante ancora è la ricerca del proprio percorso in arte, della propria personalità in arte, di quello che uno È nell’arte, e che l’artista lascia attraverso le proprie opere, che in fondo non sono altro che una serie di tanti autoritratti.

In conclusione, ti senti di esprimere qualche consiglio ai giovani pittori, che si interfacciano con questa nostra realtà?

 Di fare quello che sentono e di non dimenticarsi degli insegnamenti dei predecessori, ma soprattutto di essere sé stessi e di essere umili.

 

 

 

 

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