“Bei sogni ridenti”, il libro di Marco Iacona

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“Bei sogni ridenti”, il libro di Marco Iacona

Si intitola “Bei sogni ridenti. Cantanti, opere e direttori d’orchestra nell’era pop” (Algra editore), l’ultimo libro di Marco Iacona. Riguarda quella particolarissima e italianissima forma d’arte nata nel seicento come ritorno “autentico” a un’idea greca di tragedia. Senza dimenticare le sue appendici emotive. In oltre quattrocento anni ne abbiamo viste di tutti i tipi. In trasparenza una domanda che operatori, addetti ai lavori, autori e compagnia cantante, hanno paura a porre a loro stessi. Ci si diverte ancora ad andare a teatro?

Nel “Don Pasquale” di Donizetti (1843) troviamo un dialogo tra il vecchio protagonista e la giovane Norina: «Signorina, in tanta fretta, dove va, vorrebbe dirmi?». «È una cosa presto detta, vo a teatro a divertirmi». Ovviamente il teatro nel novecento non è quello dell’ottocento che a sua volta non è quello del settecento. La questione non è semplice. Essendo l’opera una sorta di circo di grandi talenti (e anche di meno grandi) nel quale gli estremi si toccano, la risposta in generale è impossibile. I modi per ascoltare o usufruire della musica dice Iacona, senza chiamare in causa warholiani e antiwarholiani in servizio stabile, sono diversi. Perché se amo “Tosca” devo andare in un teatro di provincia ad ascoltare chissà chi e vedere chissà cosa, invece di stare a casa ad ascoltare un’edizione del 1953 con De Sabata, Callas e Di Stefano? E in che modo l’emozione che dà il teatro mi ripaga di una probabile serata così e così? Discorsi da intenditori (e da “esperti” di tecnica) ovviamente.

Come diceva il povero Giuseppe Sinopoli il teatro occupato quasi esclusivamente da annoiati borghesi muore, dunque ben vengano i curiosi informati e anche gli esperti/tifosi che però lo disertano. Se guardiamo alla cosa da un punto di vista dei costi delle macchine burocratiche – o peggio delle scuole – anche se allo spettatore medio non dovrebbe interessare granché il cosiddetto dietro le quinte, la situazione non migliora affatto. Anzi. In linea di massima si può dire che il divertimento puro, la serata eccezionale siano possibilità – oggi – dipendenti da una serie di variabili riconducibili alla qualità degli artisti. Ma dietro la qualità degli artisti c’è un’organizzazione che funziona. Anche se non sempre è esattamente così. E molte variabili sono assolutamente indipendenti. L’unica cosa da fare è armarsi di pazienza e andare fino in fondo. Insomma: fare in modo di poterci entrare in un teatro. I conti si faranno alla fine.

Nel 1984 – un bel dì d’agosto – a Pesaro ci fu la ripresa del rossiniano “Viaggio a Reims” per la direzione di Claudio Abbado. C’è un filmato facilmente rintracciabile proveniente dall’Opera di Stato di Vienna: il bis del gran pezzo concertato a 14 voci. Si tratta di un successo incredibile. Il pubblico sarebbe rimasto lì ad applaudire ore e ore. C’era il meglio che l’ambiente potesse esprimere – ancora nel cuore di una Rossini renaissance – compresa una Caballé in buona forma. Ma siccome nell’opera, sembra dire Iacona, due più due non fa mai quattro e i salti mortali possono anche non riuscire, ci sono serate che dovevano essere mitiche che mitiche non sono state – o lo sono state nella loro negatività – e che non hanno lasciato un grande ricordo. Come gli storici “Vespri siciliani” del 10 aprile 1973 con la Callas e Di Stefano ancora in coppia, ma registi. Con una direzione d’orchestra che passò dalla mani di Gavazzeni a quelle di Gui e poi di Vernizzi. E con conferenze stampa infuocate del terzetto Callas-Di Stefano-Aligi Sassu (scenografo e costumista). Opera da “rivedere” nella sua portata quasi globale, anche per gustare le atmosfere del tempo. Venne scomodato perfino Leonardo Sciascia.

Ma momenti straordinari sono anche – parliamo di filmati sul web in grado di offrire un’idea chiara dell’arte del canto e all’autore particolarmente cari – quelli consumati dai duetti tratti da “Norma” e “Puritani” di Bellini. Nel primo si “affrontano” Grace Bumbry e Shirley Verrett (Covent Garden 1983), nel secondo Dmitrij Chvorostovskij e Samuel Ramey (“gala Tucker” 1999): “Mira o Norma” e “Suoni la tromba e intrepido”, brani strafamosi e apprezzati in tutto il mondo. Catania per le terre che la “circondano” potrebbe essere fonte (esclusiva) di bellezza.

Per concludere l’opera vive di serate particolari e di personaggi assolutamente singolari, come Mario Del Monaco eccezionale tenore, più grande “Otello” della storia che volle farsi seppellire con un costume da “Moro di Venezia” o come Magda Olivero morta più che centenaria o Giulietta Simionato che fu partner e amica della “divina”, autentica signora d’altri tempi. Il libro contiene un’intervista a un grande basso del momento Carlo Colombara che fu “Attila” un paio di stagioni fa a Catania. Non le manda a dire a nessuno, in particolare ai vertici di un teatro, il “Bellini” – nel frattempo cambiati – e a un ambiente ristretto dai quali i concittadini di Coppola, Pacini e Platania si attendono molto. L’opera e viva o è morta insomma? È ferita, sembra dirci Iacona ma non morirà almeno in tempi brevi. Ma “tempi brevi” dall’“Euridice” di Giulio Caccini in poi è locuzione volontariamente indefinibile.

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